On.le Ministro, nonostante le vacanze estive siano sempre state un periodo propizio per varare grandi riforme, cito, ad esempio, solo alcune leggi che hanno fatto maggiormente discutere, la Legge 04 agosto 1977, n. 517 e la Legge 13 luglio 2015, n. 107, a pochi mesi dal Vostro insediamento in Viale Trastevere, di possibili e significativi cambiamenti, eccetto la proposta di inserire sin dalla Scuola Primaria l’ora di Educazione Motoria e, per ultimo, il tempo pieno e il tempo prolungato nella Secondaria di Primo grado, si parla poco o non si parla affatto.
A Lei, esperto di burocrazia e di legislazione scolastica, come da
programma giallo-verde, è stato affidato il compito di mettere mani sulla Buona Scuola, per consentire al corpo docente di lavorare serenamente nei legittimi ambiti della propria autonomia, senza correre il rischio di trovare ostacoli nell’esercizio di questa
importante missione e garantire una giusta, corretta e libera formazione a chi vive una stagione decisiva della propria esistenza.
La scuola pubblica, spesso costretta a cedere a ingenerosi e vili
compromessi, è una forza viva, una realtà ed una presenza che
impone sacrifici, investimenti, sforzi pedagogici e didattici, che
vanno sostenuti e supportati da interventi illuminati e animati da
autentiche motivazioni culturali, da principi che diano senso e valore alla insostituibile opera di formazione umana.
Troppo spesso, infatti, la nostra civiltà tende a sminuire,
svilire e deformare l’impegno formativo e, soprattutto, ad ignorare che il compito primario ed essenziale di ogni società è l’educazione.
Gli educatori, spesso minacciati, sopraffatti e schiacciati da una
realtà amorfa, contraddittoria e senza scale di valori,costituiscono un significativo nucleo sociale e culturale che va adeguatamente sostenuto e valorizzato.
Per aggredire l’immobilismo e l’astrattismo di cui spesso la scuola si nutre e per dimostrare una effettiva disponibilità ed apertura verso l’innovazione, occorre un’ampia partecipazione di tutte le forze politiche e culturali del nostro Paese, occorrono scelte radicali per favorire la costruzione di una scuola che possa essere veramente degna di questo nome.
La scuola non può concedersi il lusso dell’isolamento, essa deve
essere il centro della comunità, deve promuovere un autentico
processo di acquisizione e maturazione della persona e, soprattutto, deve uscire dalle sabbie mobili dell’immobilismo per reggere agli urti di una certa contro cultura e dipanare i dubbi corrosivi di una deleteria, ma ben radicata resistenza al cambiamento.
Naturalmente, per migliorare le condizioni precarie in cui versano le strutture scolastiche, per renderle idonee e rispondenti agli scopi cui sono destinate, per vedere e riconoscere le immense potenzialità dell’ istruzione, per suscitare negli alunni la fiducia nelle capacità dell’intelligenza e della ragione, c’è bisogno di un grande amore per la scuola, c’è bisogno di un impegno concreto per liberarla da tanti e inutili slogan e renderla non un muro da demolire, ma una finestra spalancata sull’infinito.
Esisteva un tempo una scuola che, nel bene e nel male, riusciva a
garantire ai suoi operatori il giusto riconoscimento sociale ed
economico e agli allievi adeguati strumenti culturali, necessari a
rispondere ai problemi fondamentali della vita.
Oggi, purtroppo, i docenti, privi di prospettive e validi punti di
riferimento, impigriti da mille adempimenti formali che non fanno
altro che diminuire il tempo che può definirsi educativo, fanno
fatica ad essere compresi, ad esercitare pienamente la loro funzione educativa, una funzione educativa tanto importante che, se manca, difficilmente può essere compensata.
È necessario, dunque, trovare una via che consenta il rinnovamento di tutto il sistema educativo e definisca, in maniera inequivocabile, attori, ruoli e funzioni della scuola.
Si tratta di sostenere ed affermare l’importanza di una nuova,
profonda e articolata organizzazione della scuola, che parta da una revisione dei concetti di pedagogia della scuola e di lavoro
educativo, troppo a lungo chiusi entro i limiti della metodologia e
della didattica, che non possono più essere misconosciuti e che,
sicuramente, devono essere inseriti in un tessuto vivo, più ampio del quale la scuola stessa possa nutrirsi.
È evidente che una teoria della scuola, non può semplicemente
configurarsi come un generico capitolo di una politica dell’educazione, ma deve essere un’esperienza sociale che trova il suo nucleo fondante e la sua ragion d’essere, in quella che potremmo definire “La casa della cultura”, centro polarizzante e irradiante di tutte le iniziative educative, sociali e culturali.
La politica è chiamata, pertanto, a mettere in atto una significativa prassi educativa capace di sollecitare una autentica
partecipazione creativa, di riaccendere tra i docenti la fiamma
dell’entusiasmo, di favorire quell’impeto irrefrenabile d’amore che fa del sapere e della conoscenza non un’imposizione, un’idea
astratta, ma un desiderio, una realtà viva e feconda.
In questo senso, un corretto realismo pedagogico e una trasformazione qualitativa della scuola, possono contribuire a liberarla dal pericolo delle improvvisazioni, delle avventure didattiche, delle inutili sperimentazioni che finiscono sempre col tradire famiglie, docenti e alunni, animatori ed attori di ogni processo educativo.
Per concludere, On.le Ministro non si tratta, semplicisticamente, di onorare la classica affermazione “cambiano i ragazzi, deve cambiare anche la scuola”, o rievocare solitarie riflessioni e logorroiche dissertazioni, ma occorre lasciarsi conquistare dagli ideali di un apostolato intellettuale che in silenzio, nobilmente, consapevolmente e in perfetta comunione con il dolcissimo mandato d’amore, “Euntes docete”, contribuisce alla piena realizzazione dell’insostituibile opera educativa.
Fernando Mazzeo
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