La successione di notizie su violenze e maltrattamenti non può lasciarci indifferenti. Da più parti si levano cori di rabbia e indignazione. Io stesso, come uomo, sono disgustato e inorridito dalla semplicità di una ferocia maschile senza scrupoli, voluttuosa di ridurre a brandelli la dignità di esistere. Ogni volta mi ritrovo a domare i miei istinti primordiali, per ricordarmi che oltre ad essere cittadino del mondo, sono anche genitore e pedagogista e non posso in alcun modo sfogare la mia brama di vendetta come fosse una risposta naturale ai mali che ci affliggono.
Questi hanno tutti una matrice comune, l’educazione. E badate che non parlo dell’impegno statale ma di quell’etica umana che dovrebbe essere regola di condotta e di autopromozione di ogni attore sociale. Viene da chiedersi “ma dove sono cresciute queste bestie?”, “A quale ramo appartengono nell’ordine tassonomico del regno animale?”. Ed è qui che già mi colgo in fallo.
Lo stesso errore che rileggo nelle dichiarazione gratuite rilasciate da personaggi celebri del mondo della politica (Meloni) e dello spettacolo (Pieraccioni). Eh già, perché quando si tratta di educare in Italia, si ascoltano proprio tutti, purché non la facciano di professione! Quindi ci ritroviamo ad avere la sensazione che esista una certa generazione di figli, cd millennials (prima generazione X, Peter Pan, Boomerang, etc.), che nascono già col piede sbagliato su questa Terra.
Non sono i nostri non-metodi educativi i responsabili di queste ondate di violenza, ma il fatto che questa inusuale generazione di figli proprio non riesce ad adattarsi alla vita sociale. Ecco allora rispolverare il vecchio mobilio che ci sembrava avesse prodotto un qualche risultato nel passato: lo schiaffo, la pedata, l’umiliazione, la condanna, etc.
E ogni volta che intoniamo lo stesso ritornello dimentichiamo una piccola, grande verità: quei metodi “pedagogici” non ci hanno resi più rispettosi del prossimo, semplicemente ci hanno instillato il timore di non eseguire quanto ci è stato ordinato di fare. Quei modelli così osannati, hanno dato vita alla stessa generazione di genitori incapaci e inconcludenti che oggi incontriamo. Ci hanno privato della capacità di scegliere nel rispetto di una piena autonomia vitale. Ci hanno insegnato a confondere le cause con gli effetti, ad attribuire la responsabilità dei fenomeni in capo a terzi senza mai farsene carico in prima persona. Quei metodi, hanno reso possibile lo scollamento dal principio di intenzionalità, ciò che accade è fine a sé stesso e non ha radici nel prima e nel dopo. E’ così che abbiamo ceduto alla pornografia dei sentimenti umani. Dove la donna diviene oggetto di piacere e l’appagamento non è altro che la distanza che separa il maschio dalla sua preda. La donna, come nei format della De Filippi e di altri sciagurati programmi, è un oggetto da contendere, il cui possesso finale è garantito al cafone di turno. La relazione, significativa ed intima, diviene veicolo di soddisfazione sessuale, priva di ogni forma e rapporto con una intelligenza necessaria a sopravvivergli. Come nel mondo dei contrari, i simbolismi dei riti (matrimoni, comunioni, primo giorno di scuola, etc.) si adombrano e si annichiliscono: tutto è all’apparenza com’è sempre stato, salvo suonare a vuoto ad ogni rintocco. Continuiamo a vestire gli stessi abiti scomodi che indossano i nostri genitori e eppure sono decenni ormai che ce li sentiamo soffocare addosso.
Replichiamo nell’assenza gesti e modelli educativi privi di aderenza e di valore autentico. Ci dimentichiamo ancora una volta che parlare di “noi” vs “loro” non ha alcun senso ragionevole. Manca di una verità essenziale: quella di renderci edotti e responsabili del nostro fallimento. Non sono i nostri figli ad essere distanti ma noi genitori ad aver rinunciato al nostro ruolo prossimale. Noi adulti che oggi inveiamo, siamo gli stessi incapaci di presentare le meraviglie di questo mondo ai nostri figli. Gli abbiamo offerto codici preconfezionati e privi di pensiero critico per leggere la realtà che li circonda; abbiamo scelto di non dare valore a quelle “carezze” profonde e sentite che ogni essere umano è capace di accogliere e di restituire. Quelle forme di gentilezza e di premura che non soddisfano sempre e che spesso tornano indietro con una eco di dolore e sofferenza, ma che sono le uniche a mantenere salda la distinzione basilare tra essere umani e semplici bestie di risulta.
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