Il presidente del Consiglio Renzi, sarà dunque a Palermo per commemorare don Pino Puglisi.
Giusto. Perfetto. Opportuno. Ma la sensazione che ne ricavo, a pelle, è sul filo della logica molto renziana di uno dei suoi tweet. Insomma, una logica asfittica che come sua punta massima ha centoquaranta caratteri. Commemorare don Pino è certamente il classico “minimo sindacale” per ogni cittadino, figurarsi per me che con lui ho fatto la Prima comunione e l’ho avuto come insegnante di religione per tre anni: io, lo onoro e commemoro ogni giorno.
Ma quella del premier mi pare una delle sue promozioni da televendita, in un periodo storico di recessione e deflazione, con la gente incazzata che non sa più dove sbattere la testa (non compete a me elencare le criticità del Paese).
Eppure io, cittadino italiano, ho scritto al nostro presidente del Consiglio non so quante volte: alla posta certificata del governo, alla posta del Partito democratico, tramite lettera raccomandata. Niente, nessun segnale di esistenza in vita. Gli avevo scritto allegando l’appello del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, col quale si richiedeva che il 13 settembre – data dell’“omicidio di Stato” la cui vittima è stata mio figlio Norman – diventasse giornata del merito universitario.
Forse la “schizofrenia assassina che coinvolge l’intero sistema” gli ha suggerito un più comodo silenzio istituzionale?
E il premier lo sa che sono stato ricevuto due volte a Roma dai segretari di due ministri (Carrozza e Giannini) per parlare dell’argomento, col prevedibile risultato di altrettanti, grevi, silenzi istituzionali successivi?
E sempre il premier lo sa che il ministro Giannini, con la quale saremmo stati nello stesso posto, qui a Palermo in occasione della consegna delle pergamene ai nuovi dottori di ricerca, alla stessa ora, a pochi metri l’uno dall’altro, ha rifiutato di incontrarmi per cinque minuti?
“Ha i minuti contati” mi è stato detto dalla segreteria del Miur.
Il premier, come giudicherebbe tutto ciò?
Va da sé che se lo avessi invitato io alla manifestazione di ieri, 13 settembre, nel quarto anniversario della morte di Norman, avrebbe declinato l’invito affidandosi alla specialità dei nostri governanti: il silenzio istituzionale.
Immedesimarsi in quella che oltre ad essere una tragedia per la mia famiglia, riverbera un dramma generazionale non se ne parla, vero, caro il mio premier?
E interrogare il ministro del Miur sui suoi silenzi – che diventano per caduta libera, complici – non se ne parla nemmeno, ovvio, no?
Già, vuoi mettere affrontare un problema così rognoso, con un secchio d’acqua gelata sulla testa che fa il giro del web?
Oggi Norman è il simbolo di un’intera generazione di studenti e precari, che non a caso è stata definita “Generazione Norman” o, diversamente, “Generazione no future”, le piaccia o no caro il mio premier.
Chiaramente lei, presidente, non sa di che diavolo io stia parlando.
La politica, purtroppo, fin qui non ha fatto altro che nascondere maldestramente la polvere sotto il tappeto, affinché nessuno la vedesse. Ma quella polvere è sempre lì, basta sollevare un lembo di “quel” tappeto per rimettere in circolo gli indesiderati granelli di pulviscolo
Nell’urlo accusatorio – ancora purtroppo inascoltato – di mio figlio contro i “padroni del Sapere”, i mafiosi di Stato, i nepotisti e i tagliagole legittimati dalle istituzioni, c’è tutta l’ingiustizia della quale è capace questa italietta ipocrita ‘di macerie e polvere’, ‘porca’ (per dirla con Vittorio Sereni), ‘buttanissima’ almeno quanto la Sicilia nella definizione di Pietrangelo Buttafuoco.
Un’italietta da avanspettacolo che fa sembrare i nani dei giganti, purtroppo generatrice di un sistema malato, deviato, che non tentenno a definire distampo mafioso.
Benvenuto a Palermo signor presidente, troverà un città pulita per l’occasione e la stampa parlerà di lei come un devoto del Beato Pino Puglisi; di un capo dell’esecutivo attento e disponibile.
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