Ill.mo Presidente Renzi,
rispondo alla Sua lettera cominciando col presentarmi: sono un’insegnante con 35 anni di servizio e due lauree (Filosofia nel 1982 e Scienze dell’Educazione nel 2005); cursus honorum dalla Scuola dell’Infanzia alla Scuola Secondaria di II grado, ove attualmente opero come docente di Filosofia e Storia; diversi corsi di formazione/aggiornamento e due piccolissime pubblicazioni; tanto studio e tanta fatica ma anche tanta esperienza e soprattutto tante gratificazioni da parte di studenti e famiglie; nessun incarico e nessun ruolo attivo nel sindacato tranne il possesso di una semplice tessera (per sostenere strutture che la nostra Costituzione ha posto a tutela dei diritti dei lavoratori).
Credo che l’insegnamento non sia un semplice lavoro quanto piuttosto una scelta di vita, come don Lorenzo Milani ha testimoniato col suo splendido esempio; per me il merito non è un tabù perché tutto quello che ho costruito nella vita sento di averlo fatto “per merito mio”, perché promuovere il merito fra i giovani è una delle mie finalità come insegnante, perché la cultura del merito serve a realizzare società autenticamente civili e democratiche (“Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, non come un atto di privilegio ma come una ricompensa al merito […]”, è scritto nel “Discorso di Pericle agli Ateniesi”, e mi piacerebbe molto che questo principio vigesse ancora).
Lascio a persone più esperte la controversa questione della crescita del PIL, ma concordo con Lei sulla necessità e l’opportunità di far ripartire il nostro Paese puntando su scuola ed educazione (come del resto già sperimentato con successo dal presidente statunitense Obama) e valorizzare così la maggiore risorsa del nostro territorio, cioè la cultura. Non mi convincono però le modalità con cui Lei si propone di centrare questo obiettivo: ossia una RIFORMA/CONTRORIFORMA (ad es. la figura del Preside che sceglie i docenti è un retaggio del Fascismo) CHE DICE DI MIRARE ALLA QUALITÀ MA A MIO PARERE AVREBBE L’EFFETTO DI INDEBOLIRE SQUALIFICARE E SVILIRE LA SCUOLA PUBBLICA ITALIANA.
Per non dilungarmi troppo mi limiterò riflettere solo su due punti della Sua lettera: cioè quelli che a mio parere costituiscono gli snodi più delicati e quindi potenzialmente pericolosi; per tutti gli altri rimando alle critiche che Le sono state rivolte da diversi esponenti politici anche del Suo partito, dal fronte sindacale, dal una parte della stampa, da alcuni intellettuali (vedasi ad es. il lapidario giudizio di A. Goussot, per cui “Il DdL del Governo Renzi è regressivo e reazionario e rischia di demolire l’architettura stessa della scuola pubblica repubblicana e democratica” e non da ultimo da diversi miei colleghi – critiche che per lo più condivido. Qui intendo trattare soltanto I TEMI DELL’AUTONOMIA E DELLE NUOVE FUNZIONI DEL DIRIGENTE SCOLASTICO.
Quanto al primo argomento, non sono sicura che un’esasperata autonomia giovi alla scuola e soprattutto agli studenti, giacché potrebbe creare un sistema di istruzione à la carte che non garantisce una reale uguaglianza delle opportunità a tutti i giovani italiani; e non sono sicura che il ruolo delle circolari ministeriali sia solo quello di “governare in modo centralistico gli istituti”, giacché mi pare che le indicazioni da esse fornite alle varie scuole svolgano un importante compito di salvaguardia degli standard qualitativi della scuola pubblica. Inoltre penso che il concetto di autonomia rimandi a un principio di autogoverno, il quale a sua volta implica dialogo e collegialità; diversamente, se autonomia significa affidarsi alla discrezionalità e qualche volta anche all’arbitrio di una sola persona, se c’è un primus talmente primus da diventare monos, allora essa finisce per snaturarsi e trasformarsi in un Governo monocratico, una monarchia a volte illuminata e a volte no.
Quanto invece alle accresciute “responsabilità” del preside-sceriffo (mi scusi ma la metafora mi pare molto più efficace di quella del preside-sindaco, giacché sindaci governatori e anche presidenti del Consiglio detengono un potere che il voto dei cittadini può eventualmente delegittimare), mi permetto di ricordarLe che siamo in un paese dove la meritocrazia costituisce un valore molto celebrato ma poco praticato. Pertanto anche nella scuola, come in altri settori pubblici e privati, non sempre la funzione dirigenziale corrisponde ad acclarati livelli di competenza; così abbiamo nei nostri istituti dirigenti ottimi, ma altri che non lo sono, e nel complesso la Fondazione Agnelli sostiene che “I Dirigenti Scolastici e la qualità dell’organizzazione nelle scuole secondarie di secondo grado italiane risultano nel confronto internazionale collocarsi sui valori più bassi”. Orbene, Le pare opportuno attribuire a tale categoria poteri ancora più ampi? O non sarebbe meglio riformare la scuola italiana cominciando proprio dal vertice, e promuovendo un suo adeguamento ai valori europei?
Personalmente poi, non reputo opportuno consegnare nelle mani del dirigente scolastico né la scelta dei docenti da un albo territoriale, né la loro incentivazione professionale ed economica, né la possibilità di escluderli dalla propria scuola qualora essi non incontrino più il gradimento del capo d’Istituto; e la mia contrarietà rimane tale anche di fronte all’ipotesi di un dirigente scolastico “affiancato” da una esigua (e forse, nei fatti, anche organica) rappresentanza di docenti famiglie e studenti. Al proposito faccio infatti due considerazioni, la cui valenza è tecnica ma anche politica – e dico politica nel senso alto di questo termine, senza riferimento all’attualità e pertanto senza alcun intento strumentale. Prima considerazione: non sussiste il rischio che ALCUNI DIRIGENTI – e sottolineo alcuni! – effettuino (a parità di titoli fra gli aspiranti docenti) delle SCELTE POCO ADEGUATE? Ad es. un dirigente di una certa area geografica potrebbe accordare la sua preferenza a docenti provenienti dalla stessa area; un dirigente di un certo partito la sua preferenza a docenti dello stesso partito; un dirigente omofobo la sua preferenza a docenti etero; un dirigente sensibile a fascino e sex appeal la sua preferenza a docenti che ne fossero particolarmente dotati; un dirigente pastafariano la sua preferenza a docenti mangiatori di spaghetti…e potrei continuare all’infinito, ma il senso rimarrebbe identico: ossia quello di uno schiaffo all’Art. 3 della nostra Costituzione, che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Vero che TUTTO QUESTO, IN TEORIA, NON DOVREBBE MAI ACCADERE; MA IN PRATICA? Purtroppo nella pubblica amministrazione non dovrebbero esserci nemmeno la corruzione, il falso, la sottrazione di fondi ecc. ecc. – eppure ogni giorno la cronaca giudiziaria ci dà notizia di illeciti di questo genere: allora perché non ammettere la possibilità che qualche dirigente scolastico decida di assumere/promuovere/allontanare dalla scuola i docenti secondo criteri del tutto personali, addirittura col supporto di una normativa che legittimi questo modo di operare? Ha pensato, per es., al ricatto sessuale che potrebbero subire soprattutto le giovani aspiranti a un incarico scolastico (come insegnanti o personale ATA)? Appartengo alla generazione che ha lottato strenuamente per abbattere ogni forma di sottomissione delle donne, perciò mi preoccupa anche un eventuale arretramento sul terreno dell’emancipazione femminile.
Veniamo invece alla seconda – e conseguenziale – considerazione: cosa accadrebbe SE UN DOCENTE (specie chi vive del proprio lavoro, chi è l’unica fonte di entrata in una famiglia monoreddito, chi con il proprio stipendio deve pagare la casa e far studiare i figli) AVESSE ASSOLUTAMENTE BISOGNO DI LAVORARE, DI FARE CARRIERA, DI EVITARE IL RITORNO NEL LIMBO NEGLI ALBI TERRITORIALI ove si rischia il licenziamento? Ovvio che dovrebbe adeguarsi alle richieste implicite o anche sfacciatamente esplicite del dirigente (poniamo) pastafariano, rinunciando alla sua autonomia di pensiero e soprattutto alla sua dignità di essere dotato di ragione. Già adesso, nella scuola pre-controriforma, gli spazi della libertà di insegnamento (sancita dall’Art. 33 della Costituzione, e per lo più garantita) in alcuni contesti risultano compressi da un sistema piramidale che per lo più premia i docenti passivamente subalterni al capo d’Istituto e penalizza quelli più autonomi, che incoraggia il conformismo e la compiacenza a scapito dello spirito critico e dell’onestà intellettuale…figuriamoci dopo!
Se però Lei ha a cuore davvero una scuola di qualità, una scuola che esalti il merito, le suggerisco l’ipotesi di un sistema di valutazione (possibilmente posto sotto il rigoroso controllo di enti esterni, garanti della correttezza delle operazioni) ove I DOCENTI SIANO VALUTATI DA TUTTI GLI STUDENTI E DA TUTTE LELORO FAMIGLIE OLTRECHÉ DAI DIRIGENTI, I DIRIGENTI DA STUDENTI E FAMIGLIE MA ANCHE DAGLI INSEGNANTI E DAL PERSONALE ATA; e solo dopo si parlerà di mobilità d’ufficio, oppure in casi estremi di licenziabilità, TANTO PER I DOCENTI CHE PER I DIRIGENTI (e, perché no?, anche per i MINISTRI dell’Istruzione, magari valutati da studenti famiglie docenti personale ATA e dirigenti). Forse i costi sarebbero maggiori, ma i benefici pure: soprattutto per i nostri utenti.
Concludendo, la prego di non accusarci di pusillanimità: nella lettera Lei dice (rivolto soprattutto a noi insegnanti) che non dobbiamo “avere paura di cambiare. L’Italia è più forte anche delle nostre paure”; però se c’è qualcuno che teme qualcosa, questo sembra essere proprio Lei: infatti, come tutte le controriforme, anche quella da Lei delineata in ambito scolastico appare costruita intorno alla PAURA DEL CAMBIAMENTO, DELL’INNOVAZIONE E DEL PROGRESSO (fattori che pure costituivano le bandiere del Suo ingresso in politica): tutte cose che scaturiscono soprattutto dal confronto e dalla collaborazione fra insegnanti e studenti autenticamente liberi di pensare e di agire, di costruire un percorso educativo che – nel rispetto delle norme vigenti e delle esigenze di istruzione/formazione poste dalla contemporaneità – sia guidato anziché mortificato da un capo d’Istituto con facoltà di scegliere in maniera incondizionata gli insegnanti e quindi l’impronta da dare alla sua scuola: lì sta infatti la vera autonomia, da difendere e potenziare.
Inoltre, Lei fa una giusta considerazione quando dice che “Un professore collabora alla creazione della libertà di una persona”: MA QUALORA I DOCENTI NON POTESSERO PIÙ ESERCITARLA, CHI INSEGNERÀ LA LIBERTÀ DI PENSIERO E DI PAROLA AI CITTADINI DI DOMANI? Perciò lasci alla scuola e agli insegnanti questa libertà (senza soggiacere a logiche di destra per cui il potere diventa buono solo se concentrato nelle mani di pochi, e senza soffocare lo spirito di collegialità che sorregge una autentica comunità educativa): altrimenti qualcuno potrebbe addirittura immaginare che lei paventi la libertà della scuola in quanto propedeutica alla libertà di un intero Paese.
La saluto.
PS: Poiché in altre sedi Lei ce ne ha fatto addebito, Le dico che a inizio di anno scolastico non ho partecipato alla consultazione sull’ipotesi di controriforma della scuola perché nutrivo dei dubbi sulla Sua capacità di interloquire con le parti: infatti ascoltare non basta, e le ragioni del dialogo esigono la necessità di una sintesi finale rispettosa di tutte le sensibilità e di tutti i contributi. Dirsi disponibili all’ascolto e poi agire senza mediare, senza tenere in nessun conto il parere degli altri, costituisce soltanto una apparente propensione al confronto, sotto la quale a volte si cela un decisionismo che rischia di sconfinare nell’autoritarismo. Tuttavia questa volta ho voluto misurarmi con Lei; perciò spero che anche da parte sua ci sia la propensione non solo a registrare ma anche a considerare, nella famosa sintesi finale, le motivazioni che stanno portando in piazza una così ampia parte della scuola italiana (docenti genitori e alunni), NON CONTRO DI LEI MA A FAVORE DI UNA SCUOLA CHE SIA SCUOLA DI DEMOCRAZIA E QUINDI UNA SCUOLA BUONA PER DAVVERO.
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