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Caro Renzi, un diritto, quello dei “quota 96”, è ancora un diritto?

Ci avevano insegnato, egregio Presidente del Consiglio, che in una moderna democrazia non dovrebbe mai venir meno la salvaguardia delle libertà individuali, che l’agire dello stato dovrebbe essere sempre vincolato (e conforme) alle leggi vigenti. E ci avevano insegnato pure che l’esercizio arbitrario del potere dovrebbe essere contrastato con un progressivo controllo dell’organizzazione e del funzionamento dei poteri pubblici. Sappiamo che lo stato è costruito giuridicamente non solo o non tanto per eliminare il potere quanto per sottoporlo alla razionalità, all’impersonalità e all’oggettività della legge. Oggi, però, quel potere si è andato concentrando nelle mani di una sovranità politica e di casta che ha fatto carta straccia dei diritti fondamentali dei lavoratori, che si è beffata di ogni rivendicazione popolare giustificandosi in nome di costruzioni giuridiche arbitrarie quando non mistificatorie. Manca, a onor del vero, un punto di riferimento essenziale che sappia far rispettare il quadro generale delle tutele o le altre norme di garanzia universale. La liberalizzazione del mercato del lavoro, le politiche del rigore e dell’austerità volute da Monti, gli attacchi contro la sanità pubblica e soprattutto contro la scuola, il taglio dei salari fatto con freddezza talora chirurgica, tutto ciò e altro ancora attesta una tendenza politica più generale che mira a cancellare welfare e tutele a livello europeo per continuare ad assicurare lauti profitti alla borghesia. Tenga sempre bene e mente quando governa, caro Renzi, queste parole di Roberta De Monticelli: «Come per noi, anche per Dio c’è un limite, una soglia, una barriera: non è vero che tutto è permesso. Non è permesso a nessuna volontà ciò che è ingiusto». 
La Corte Costituzionale ha da poco dichiarato l’incostituzionalità dell’attuale legge elettorale, come sappiamo bene, solo perché alcuni privati cittadini ne hanno denunciato le patenti contraddizioni a suon di ricorsi. Non dimentichiamo che ha dichiarato incostituzionale anche il prelievo forzoso sulle pensioni a cinque zeri, tema che rimane uno di quelli più sentiti (e dibattuti) dall’opinione pubblica. Aggiungiamo che l’alta Corte ha evitato bellamente, grazie a una serie di vizi formali, di pronunciarsi nel merito del diritto dei pensionandi della scuola di Quota 96 che chiedevano allo stato l’applicazione di un diritto sancito dalla legge ma disatteso dalla riforma Fornero: quello di tener conto della specificità della scuola riguardo all’uscita dal lavoro. Sappiamo però che i diritti civili e quelli giuridici, spesso, non vanno di pari passo. Nel consiglio dei ministri di mercoledì prossimo, caro Renzi, dovrebbero prender forma il piano del lavoro, il piano casa e gli interventi per la ristrutturazione edilizia delle scuole italiane da lei tanto sonoramente sbandierati. Però l’unica cosa di sinistra che lei avrebbe dovuto fare per ristabilire un minimo di giustizia sociale e garantire il patto fra le generazioni, cioè la flessibilità in uscita, non è fra le priorità del suo governo. Ed è un vero peccato. Perché l’Italia, nonostante i problemi strutturali, è un paese in cui bisogna investire per dare spazio ai giovani e al turn over. 
La gente comune fatica per arrivare a fine mese, spesso facendo un doppio o un triplo lavoro; e anche chi ha un lavoro dignitoso, fosse anche con quarant’anni di contributi sulla schiena, non è che se la passi tanto bene. Il fatto è che la distribuzione della ricchezza nazionale è tutta nelle mani di un ristrettissimo gruppo di manager statali o privati i quali non hanno alcun interesse di pagare il prezzo di una sua re-distribuzione socialmente e politicamente più equa per tutti. Ha finito per trionfare la vecchia ricetta montiana secondo cui le tasse sono necessarie al paese anche se hanno peggiorato la congiuntura economica. Dice però qualche intellettuale illuminato che la «crisi economica» è soprattutto una «crisi morale» e non c’è speranza di venirne a capo se non la collochiamo al posto giusto. Il calpestìo dei diritti, intanto, è divenuto sempre più odioso e sistematico. Appena un anno fa la sua collega di partito Manuela Ghizzoni lamentava la diffidenza che i politici ispirano nei cittadini. Perché troppe volte hanno dato esempi non fulgidi rispetto alla missione della politica che dovrebbe essere quella di lavorare per il bene comune, per i diritti di tutti, anziché per le proprie consorterie. Il Palazzo, come lo chiamava Pasolini, non dà certo il buon esempio con le tantissime immunità e regalie che va consumando ai danni dei meno abbienti, in un periodo in cui la disoccupazione ha peraltro raggiunto livelli allarmanti. E il popolo, che scalpita da tempo inascoltato e strepita intimando alla moralità, non ne può davvero più. Annaspa attonito e miscredente in cerca di una giustizia che non c’è. Perché un diritto, in un paese dov’è in scena l’eterno talk show della menzogna e della prevaricazione, non è più un diritto o, perlomeno, non è più un diritto esercitabile o esigibile. Ci verrebbe allora da dirle, parafrasando Riccardo Lombardi, che oggi è tempo di essere pessimisti e che bisogna lasciare l’ottimismo a tempi migliori. 

Redazione

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