Caro virus,
è assurdo pensare che stiamo vivendo una nuova “peste nera”. Se dovessi definire la tua pandemia con una sola parola la chiamerei invadente, una maledizione scagliata con chissà quale ragione contro l’umanità, senza fare alcuna distinzione di età, etnia e soprattutto virtù. La cosa più opprimente di questa situazione è la lontananza tra le persone, soprattutto per quelli come me che vivono di affetto familiare e d’amicizia. La quarantena mi è penetrata fino al midollo osseo togliendomi i baci, gli abbracci e, con mia grande sorpresa, anche i miei spazi privati.
Dicono che la casa di una persona sia il suo castello, ma in questo periodo sono entrati con forza dalla porta anche i problemi del mondo esterno, arrivando persino in camera mia, dove mi rifugiavo per sfuggire allo stress scolastico. Questo stesso computer, che prima amavo tanto perché lo ritenevo una via di fuga dal mondo reale, ora mi provoca tensione e angoscia, tristezza e rabbia. Non riesco a negare che, anche essendo in tipo solitario e un tantino asociale, mi mancano terribilmente le serate con gli amici, guidare solo per il piacere di andare in giro senza meta o il periodo natalizio, dove ogni scusa era buona per stare più vicini e giocare a tombola.
Tu, caro virus, mi hai portato via tutto e per questo ti odio, ti detesto fino all’ultima particella del mio corpo per aver capovolto il mio mondo nel suo antro più segreto, per avermi allontanato da tutti coloro che amo e per avermi fatto odiare ciò che prima amavo fare. Vorrei tanto che tutto questo si cancellasse all’istante e di te non rimanesse nemmeno un misero ricordo. La mia unica speranza, quella che non mi fa ancora crollare, è la lontana possibilità di un ritorno alla normalità.
Rocco Iannicella
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