Alla polemica sulla carriera alias scuola, scoppiata attorno al caso del ragazzo del liceo Cavour di Roma a cui il docente ha contestato il compito in quanto firmato con un nome diverso da quello indicato sulla carta di identità, si aggiunge il commento del ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara, che puntualizza: “Il Ministero sostiene tutte le opportune verifiche che riterranno di mettere in campo il dirigente scolastico e l’Ufficio Scolastico Regionale, per appurare se si sia in presenza di un caso di discriminazione. La scuola è il luogo per eccellenza deputato allo sviluppo e alla realizzazione della persona umana e non può ovviamente ammettere al proprio interno alcuna forma di discriminazione”.
Un punto di vista, quello del Ministro, che sembra più cauto rispetto alle posizioni espresse in campagna elettorale dal partito della Lega, che in più occasioni, come abbiamo riferito, ha parlato di “indottrinamento gender”.
Nelle stesse ore ha detto la sua anche Antonella Viola, immunologa che più volte si è espressa sui temi legati al mondo della scuola, specie in relazione alla salute fisica e mentale dei ragazzi e delle ragazze: “La carriera alias è uno strumento di inclusione e tutela del benessere a disposizione di studenti e studentesse che sentano la necessità di avere un’identità di genere diversa da quella anagrafica – ha dichiarato la divulgatrice scientifica – si tratta spesso di ragazze e ragazzi in transizione, protagonisti di un percorso delicato, lungo, impattante dal punto di vista emotivo, fisico, sociale”.
“Ma dal momento in cui la disforia di genere si manifesta – ha aggiunto – fino alla conclusione dell’eventuale percorso e al riconoscimento legale della nuova identità di genere, possono passare molti anni, durante i quali le persone transgender sono particolarmente vulnerabili”.
“La scuola è e deve essere sempre un luogo in cui i ragazzi e le ragazze possano sentirsi sereni e tutelati. E dare agli studenti e alle studentesse trans la possibilità di cambiare identità all’interno della scuola (o dell’Università) ha proprio lo scopo di farli sentire accolti, non giudicati; ha lo scopo di alleviare quel carico di stress e dolore che sempre accompagna la disforia di genere_ è una di quelle norme semplici e civili di cui non bisognerebbe neppure discutere un secondo. E invece c’è chi la combatte”.
E sferra un duro colpo al docente resosi protagonista del gesto discriminatorio: “Non capisco davvero cosa possa infastidire così tanto un adulto (tra l’altro un docente che dovrebbe avere a cuore il benessere dei suoi alunni) nel riconoscere ad uno studente il diritto di essere quello che sente di essere; quale intima virtù possa vacillare nel docente nel dire Mario piuttosto che Maria; quale fatica possa costargli abbandonare per un attimo il suo rigido punto di vista per guardare il mondo con gli occhi di chi in quel mondo si è sempre sentito fuori posto”.
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