Il tema della carriera docenti e quello dell’organizzazione scolastica sono sempre stati piuttosto divisivi tra gli insegnanti, ma le proposte non mancano. Se ne è parlato nella diretta della Tecnica della Scuola del 18 novembre. “Ascoltavo con interesse il collega Lucio Ficara quando sentivo che gli insegnanti nella fase di selezione iniziale dovrebbero dimostrare di avere competenze di gestione dei gruppi, competenze anche in relazione ai tratti psicologici di tenuta rispetto alle situazioni complesse interne alla classe. Quello che possiamo fare è dare alle scuole delle strutture organizzative esplicite, perché oggi le scuole hanno una finta collegialità e una finta eguaglianza di ruoli che non corrispondono alla realtà”. Lo ha dichiarato ai microfoni della Tecnica della Scuola Gianluca Argentin, sociologo e docente di Teorie sociologiche e mutamento sociale all’Università di Milano-Bicocca.
“Se oggi un docente ha delle difficoltà nella gestione della classe o con un genitore – ha chiarito il professore universitario – molto spesso va dal collega con qualche anno di esperienza in più o dal collega che ha già affrontato qualcosa di simile e cerca supporto, ma nell’ambito di una visione ingenua del sistema scolastico, del tipo siamo tutti sulla stessa barca, diamoci una mano“.
Al contrario “il profilo degli insegnanti all’interno delle scuole va differenziato, se si vuole davvero e in maniera strutturata dare supporto agli insegnanti”.
“Dobbiamo identificare dei docenti particolarmente portati per un task specifico o per un competenza specifica – ha aggiunto – come quella di fare da mentore ai nuovi entrati; oppure come quella di gestione della classe; o di ascolto finalizzato a intercettare il disagio e indirizzarlo ai servizi; per poi rendere formali certi ruoli”.
“Io credo che tutte queste competenze nelle scuole tendenzialmente ci siano, il problema è che le utilizziamo senza riconoscere un ruolo formale né un riconoscimento economico a queste persone, il problema cioè è che le competenze non le coltiviamo. A me piacerebbe un sistema scolastico nel quale, quando un docente ha delle competenze specifiche, e il dirigente rileva che quelle competenze possono dare luogo a una vera funzione strumentale di risposta anche ai bisogni dei colleghi, quel docente possa essere dispensato da qualche ora di insegnamento per fare della formazione specifica ai colleghi e poi diventare nel tempo, in quella scuola, esperto in quell’ambito, il che non significa essere esperto tout court. Ecco, oggi tutto questo è informale, pur dentro scuole anche molto grandi, che invece dovrebbero essere organizzate diversamente, con differenziazioni di ruoli e di riconoscimenti economici”.
“Tendiamo a dimenticare che gli insegnanti italiani neo pensionati rappresentano un’enorme massa di individui. Ecco, io non voglio fare tornare a lavorare gli insegnanti che si sono guadagnati la pensione, ma credo che tra i pensionati ci sia una grande quantità di risorse volontaristiche. Mi è capitato di interagire con un’associazione di insegnanti pensionati che davano supporto ai colleghi che ancora erano a scuola. Forse è il caso di immaginare una forma di interazione tra insegnanti in pensione e insegnanti in servizio”.
Al nostro direttore, Alessandro Giuliani, la proposta non dispiace, ma sui suoi possibili esiti è cauto: “Un insegnante che va via dopo 30 anni di scuola è una dispersione di risorse incredibile. Potrebbero dare tanto ai colleghi – osserva – seppure non dietro la cattedra, ma in altre formule di impegno, ma credo che i sindacati, date le loro battaglie e le loro istanze, non sarebbero d’accordo” pronostica.
Anche l’esperto di normativa scolastica, Lucio Ficara, presente alla diretta della Tecnica delle Scuola, interviene sul tema e fa notare: “Era stata fatta una proposta simile dalla Gilda degli insegnanti per una gradualità di uscita dal lavoro, perché ad una certa età l’insegnamento in classe perde un po’ di smalto – osserva l’esperto -. Si è proposto che a fine carriera i docenti stessero un po’ in classe, un po’ fuori, impiegati per insegnare a insegnare alle nuove leve, e trasmettere la propria esperienza entro una forma di collegialità dove il più esperto mette a disposizione le proprie arti nei confronti di chi deve crescere. Ma quella proposta non andò avanti. Tutto ciò oggi funziona solo in base affettiva, nel senso che il docente in pensione che ha dell’affetto per un collega lo aiuta a crescere. Ma la collegialità si è andata perdendo negli anni. Addirittura oggi la scuola è completamente cambiata in senso molto competitivo e dunque a me sembra che spesso si sgomiti per raggiungere un obiettivo che giova a me ma che lascia indietro gli altri colleghi”.
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