Ma di quale patto educativo parla Renzi? Se fosse stato realmente un patto educativo, si sarebbe dovuto parlare di didattica, di pedagogia dell’inclusione e si sarebbe dovuto parlare di percorsi di valorizzazione della persona. Invece nel documento di riforma di Renzi non c’è traccia di ciò. Si parla di merito e progressione della carriera degli insegnanti, che per concorrere ad ottenere uno stipendio più alto, devono lavorare di più e acquisire molti crediti didattici, formativi e professionali. Lavorare di più è, secondo quanto viene scritto nel documento “la buona scuola”, solo una condizione necessaria per guadagnare uno stipendio maggiore, ma non è una condizione sufficiente. Infatti oltre ai crediti raccolti dovrai rientrare anche tra 66% degli insegnanti della tua scuola o rete di scuole con il maggiore punteggio di crediti. E poi se sarai particolarmente bravo e meritevole, e rientrerai anche nella prima fascia di merito che indicativamente sarebbe circa il 33% del 66% già individuato, allora il tuo stipendio aumenterà ogni tre anni in modo significativo. Ma allora di che patto educativo stiamo parlando? Molti parlano già di patto mefistofelico: bisognerà insomma “consegnare l’anima” al proprio dirigente scolastico nella speranza di ottenere un giusto riconoscimento economico.
Per la verità nel testo del documento divulgato dal Governo non c’è nulla che faccia pensare ad un eccessivo peso decisionale dei dirigenti scolastici, ma resta il fatto che questo è il timore che si sta diffondendo nelle scuole e che si può percepire anche nei social network.
Sta di fatto che, almeno per ora, mancano risorse economiche aggiuntive rispetto a quelle già esistenti, per cui si tratta di riorganizzare il lavoro dei docenti redistribuendo le poche miserie economiche che sono rimaste dopo lo sblocco degli scatti di anzianità 2012.
E bisogna anche tenere conto che c’è sempre il problema dello sblocco degli scatti di anzianità 2013 che, se attuato, ridurrà ancora di più le economie a disposizione. Senza parlare del blocco contrattuale per l’intero 2015. Si tratta, dunque, di una riforma fatta sulle spalle degli insegnanti che subiscono il ricatto di un aumento dei carichi di lavoro, in cambio di un ipotetico e non ben precisato aumento stipendiale dopo la fine di un triennio. Bisogna sapere che si tratta di una riforma che avrà una tipologia di finanziamento endogeno, nel senso che si svilupperà all’interno dell’attuale sistema scolastico, senza la possibilità di trovare risorse aggiuntive dall’esterno. Quindi è del tutto ovvio che per un insegnante che riuscirà ad ottenere un aumento di stipendio, corrisponderà un altro insegnante della stessa scuola che resterà al palo senza mai scattare, magari anche fino alla pensione. C’è chi pensa persino che per accedere ai crediti formativi e professionali sarà necessario manifestare la disponibilità a lavorare oltre le canoniche 18 ore di servizio.
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