Se si guarda al Def presentato in Parlamento dal Governo, sinora per la scuola la manovra di fine anno si sta rivelando un concentrato di buoni auspici: abbiamo già scritto che per migliorare il potenziamento delle competenze di base e ridurre gli abbandoni precoci, “potrà essere incentivato e promosso, ove ne ricorrano effettivamente le condizioni, il tempo pieno e prolungato nella scuola del primo ciclo”. In tal modo il Governo intende anche immettere in ruolo quelle maestre della scuola dell’infanzia che la Buona Scuola aveva penalizzato negando loro potenziamento e piano straordinario di assunzioni. Ma l’ex legge Finanziaria porterà anche dei capitoli di spesa da limare. Perché al comparto Istruzione sono stati chiesti circa 110 milioni di euro.
Nell’ultima riunione svolta in settimana, parlamentari e rappresentanti del Miur hanno provato a capire dove andare a reperirli.
Qualche decina di milioni potrebbero arrivare dal fondo di finanziamento degli istituti: quello, per intenderci, che serve per far avere alle scuole i materiali basilari, come i fogli, i gessetti per le lavagne o i toner per le stampanti.
Un taglio di questo genere, non certo una novità per la scuola, considerando che dal 2008 vi è stato fatto più volte ricorso, tuttavia porterebbe non troppi soldi e sicuramente pochi consensi. Perché i finanziamenti alle scuole sono sempre più ridotti all’osso.
Più favori dovrebbe riscuotere invece la riduzione sensibile, di oltre la metà delle ore, dell’alternanza scuola-lavoro: un’esperienza formativa “sul campo” che si svolgerà, d’ora in poi, anche in orari non più sovrapponibili alle lezioni curricolari (una delle cattive prassi avviate dagli istituti, soprattutto nell’ultimo biennio). Da questa operazione si ricaverebbero circa 50 milioni di euro.
Sul progetto di depotenziamento dell’alternanza, dal 2019 nemmeno più indispensabile per l’accesso alla maturità, si sono già scagliati i suoi promotori, in particolare l’ex sottosegretario Gabriele Toccafondi con un’intervista alla Tecnica della Scuola.
Qualche altra decine di milioni (giusto quelli che servono per assolvere alla richiesta di 110 milioni complessivi) potrebbe giungere andando a ridurre del 20% la quota annuale assegnata dal Miur attraverso il “borsellino elettronico”, introdotto dalla Legge 107/15 per l’aggiornamento professionale: secondo alcune anticipazioni, avallate dal Corriere delle Sera, i 500 euro annui, assegnati già da quattro anni consecutivi, potrebbero ridursi a 400 euro.
Una parte dei soldi ricavati dalla riduzione del bonus, potrebbe essere destinata al suo allargamento ai docenti precari annuali. Un’altra fetta del risparmio, invece, andrebbe ad incentivare forme innovative di formazione obbligatoria degli insegnanti, su cui tanto punta il nuovo corso governativo e ministeriale: non a caso, nel Def si parla di “nuovi strumenti per l’aggiornamento continuo e la valorizzazione professionale del corpo docente“.
L’eventuale riduzione della “carta docente”, la non verrebbe certo interpretata come un segnale positivo dal corpo docente, non riguarderebbe tuttavia l’anno scolastico in corso: lo scorso 12 settembre sono stati infatti già assegnati i 500 euro del 2018/19, che si sono andati ad aggiungere alle eventuali quote residue non spese negli anni precedenti.
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