Il principio base di una somma annuale per l’aggiornamento professionale era buono.
Visto che gli stipendi dei docenti italiani sono fra i più bassi d’Europa, almeno paghiamo loro le spese per corsi, libri, riviste, materiali, musei, spettacoli, che contribuiscono ad arricchire l’esperienza professionale e le ricadute sulla didattica.
Leggiamo invece sulla stampa che la carta del docente con i 500 euro da spendere è un flop. Finora gli iscritti alla piattaforma cartadeldocente.istruzione.it sono il 40%. I motivi sono diversi. In primo luogo la procedura complicata, con vari passaggi che sembrano studiati apposta per dissuadere. In secondo luogo la scelta molto limitata dei possibili acquisti da fare tramite emissione di buoni.
Non è che gli insegnanti siano ancora poco digitali e quindi restii, come qualcuno sostiene. Ormai a scuola tutte le procedure sono online, dal registro ai verbali, alle pratiche più varie. Quasi tutti i docenti usano gli strumenti tecnologici anche nella pratica didattica. Tutti sanno usare le app del telefonino, imparando spesso dai propri figli.
Quello che proprio non va è la procedura del cosiddetto “borsellino elettronico”. Prendiamo una semplice visita al Museo. Una volta entrati con le proprie credenziali SPID, bisogna vedere se il Museo che si vuole visitare è nella piattaforma, e già in questa fase il perimetro si restringe. In secondo luogo, il buono una volta generato per Musei, Monumenti e aree archeologiche, non è più annullabile, anche se non viene utilizzato, perché questi “seguono un diverso percorso di validazione dei buoni” come spiega una faq del Miur.
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Ma non sarebbe stato più semplice stabilire che i docenti non pagano l’ingresso senza tante complicazioni? Perché dover seguire una procedura macchinosa, per acquistare un titolo che comunque consente l’accesso gratuito? E perché sono del tutto esclusi i Musei all’estero? L’anno scorso invece, quando i 500euro erano accreditati direttamente nello stipendio, era possibile scegliere qualsiasi Museo, pagando in contanti oppure online. Quest’anno no.
Ma uno degli aspetti più incredibilmente limitativo è la mancanza di “pubblicazioni e riviste comunque utili all’aggiornamento professionale”, che non si trovano nel menu dei possibili acquisti. La voce è teoricamente prevista dalla legge 107/2015, comma 121, ma la scelta è praticamente impossibile: non c’è alcun giornale o rivista che sia acquistabile nella piattaforma.
L’anno scorso invece, quando i 500euro erano accreditati direttamente nello stipendio, molti docenti hanno potuto scegliere e sottoscrivere degli abbonamenti a qualsiasi giornale o rivista di interesse, “non necessariamente attinente alla disciplina insegnata” come precisato dal Miur, e anche on line, con un semplice bonifico.
A questo punto una domanda sorge spontanea: le tante difficoltà create quest’anno corrispondono ad una scelta studiatamente finalizzata? a che scopo?
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