Non si arrestano le voci che vorrebbero assorbire nello stipendio la Carta docente, il cosiddetto bonus per l’aggiornamento professionale, introdotta con la Legge 107 del 2015.
Fonti, anche attendibili, vorrebbero che al Miur starebbero valutando se mettere mano ai 500 euro annui, anche alla luce di alcuni dati nazionali secondo i quali tre docenti di ruolo su quatto hanno dimostrato di usufruire di quei soldi per acquistare tablet, pc fissi o portatili, piuttosto che corsi di formazione (accreditati Miur) utili anche completare le ore fissate dal proprio Collegio dei docenti proprio per quell’aggiornamento che con la Buona Scuola è diventato permanente e obbligatorio.
Non vogliamo entrare nel merito delle osservazioni. Quello che preme ricordare è che pensare di smantellare la carta docente per raggranellare un po’ di risorse da stanziare per il rinnovo contrattuale, comporta delle conseguenze forse sottovalutate.
La prima è la tassazione della quota, che mediamente supera il 40% della somma complessiva: qualora la somma confluisse nella basta paga, infatti, si applicherebbe la percentuale di tasse, rapportata al proprio scaglione fiscale, oltre che la serie classica di aliquote varie e di oneri previdenziali.
La seconda considerazione è che l’approdo del bonus nello stipendio potrebbe comportare un allargamento della platea di fruitori, oggi limitata ai docenti di ruolo: è plausibile, infatti, che i 370 milioni di euro annui possano essere divisi anche con i precari e il personale Ata, quindi con circa altri 400 mila altri lavoratori. Ai quali, è bene sottolinearlo, andrebbero assegnate somme aggiuntive ad hoc e non quelle già destinate ad altri colleghi.
Se, invece, si dovesse alla fine procedere alla “spalmatura” dei fondi nel cedolino dello stipendio su tutto il personale, considerando anche la tredicesima mensilità, si arriverebbe ad accreditare per ogni lavoratore della scuola una cifra non molto superiore ai 10 euro netti al mese.
L’ultima osservazione riguarda il fatto che la possibile sparizione della carta annuale da 500 euro dell’aggiornamento, collocata ogni inizio d’anno scolastico nel “borsellino elettronico” personale, non comporterà di certo la fine dell’aggiornamento dei docenti.
La stessa ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, all’atto del suo insediamento a capo del dicastero bianco ha definito “prioritario” il tema della formazione dei docenti (da svolgere anche in corso di carriera), alla pari di quella dei dirigenti scolastici e del personale Ata: un punto ineludibile, del resto, si si punta a valorizzare il personale della scuola.
La domanda, quindi, da porre è la seguente: venendo meno i finanziamenti pubblici per aggiornarsi, chi pagherà i corsi di formazione dei docenti?
A questo punto, ognuno può fare le sue valutazioni.
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