Sono ormai centinaia le sentenze emesse dai Tribunali sparsi in tutta la penisola che hanno affermato tale principio.
La “Carta docenti” è stata istituita dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, che la definisce “Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente”.
La stessa legge precisa che “la Carta, dell’importo nominale di euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l’acquisto di libri e di testi (…), per l’acquisto di hardware e software, per l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento (…), a corsi di laurea (…) ovvero a corsi post lauream o a master universitari, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo.
Sembrerebbe una banalità, in quanto tutti gli operatori del mondo scolastico sanno bene che le attività di formazione e aggiornamento riguardano tutti i docenti, a prescindere dal fatto che siano di ruolo o assunti a tempo determinato.
Lo prevede infatti il Testo Unico della Scuola (art. 282: “l’aggiornamento delle conoscenze è un diritto-dovere fondamentale del personale ispettivo, direttivo e docente”), il CCNL del comparto scuola (che parla di un vero e proprio diritto alla formazione, precisando all’articolo 63, che l’amministrazione è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio) nonché il D.M. n. 188 del 21.06.2021 che ha previsto la formazione obbligatoria al di fuori dell’orario di servizio per tutto il personale docente impegnato nelle classi con alunni con disabilità non in possesso del titolo di specializzazione sul sostegno.
Nonostante la chiarezza della normativa, secondo il Ministero il personale precario (quello che percepisce lo stipendio più basso e magari viene anche licenziato nei mesi estivi) deve pagare di tasca sua le spese per la formazione, formazione che in tutti gli altri settori, pubblici e privati, è assicurata dallo stesso datore di lavoro e per di più si svolge in orario di servizio.
Com’è noto, sulla questione si è pronunciata la Corte Europea che, nella causa C‑450/21, ha ritenuto discriminatoria la normativa nazionale “che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero dell’istruzione e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell’importo di EURO 500 all’anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali”.
Com’era prevedibile, di fronte ad una discriminazione così palese (certificata peraltro dalla Corte Europea) e alla totale indifferenza del Ministero, sono stati depositati migliaia di ricorsi in tutta Italia.
In questi pochi mesi, sono già arrivate le prime pronunce favorevoli.
Dai primi dati raccolti, si tratta di un plebiscito vero e proprio: si segnalano i Tribunali di Arezzo, Biella, Bologna, Cassino, Catania, Cosenza, Crotone, Cuneo, Fermo, Ferrara, Firenze, Foggia, Genova, Gorizia, Lanciano, La Spezia, Livorno, Lodi, Mantova, Marsala, Milano, Napoli, Napoli Nord, Nuoro, Palermo, Palmi, Perugia, Pistoia, Potenza, Reggio Emilia, Roma, Rovigo, Savona, Siena, Teramo, Terni, Torino, Trani, Treviso, Udine, Vasto, Velletri, Verbania, Vercelli e Vicenza. Un elenco destinato ad allungarsi.
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