“Scuola digitale: il valore imprescindibile di carta e penna” è il titolo di un convegno organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi, svoltosi al Senato. Vi hanno partecipato Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research che ha presentato un sondaggio sul tema, Maria Teresa Morasso, grafologa, Massimo Ammaniti, psicoanalista, Sergio Russo, insegnante, Martina Colasante, public policy manager di Google.
A presentare il progetto, il Segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi, Andrea Cangini, che ha dato conto delle principali ricerche internazionali sull’argomento, da cui emerge un dato incontrovertibile: eliminare carta e penna dal sistema scolastico danneggerebbe le capacità cognitive dei giovani.
La Fondazione in modo particolare ha messo assieme le principali ricerche scientifiche internazionali prodotte finora sull’argomento, fra cui quella realizzata dalla professoressa Virginia Berninger dell’Università di Washington che ha dimostrato come “in termini di costruzione del pensiero e delle idee, c’è un rapporto importante tra cervello e mano”. È la mano che plasma il cervello e “sarebbe un errore derubricare a mera questione di gusto la scelta di scrivere digitando le lettere su una tastiera rispetto al gesto grafico della mano su carta”.
Stesso risultato la ricerca, del 2016, di Susan Payne Carter, Kyle Greenberg e Michael S. Walker, condotta all’Accademia militare di West Point, su un campione di 50 classi di studenti.
Al termine del semestre i dati emersi hanno dimostrato che gli studenti che non hanno lavorato con i mezzi digitali sono risultati del 20% migliori rispetto agli altri.
E un’altra ricerca “Evolution of Reading in the Age of Digitalization” ha restituito dati ancora più significativi: tra il 2014 e il 2018, circa 200 studiosi europei hanno indagato, su un campione di 170mila partecipanti, l’impatto della digitalizzazione sulle pratiche di lettura. Risultato? La carta rimane il medium da preferire nella lettura di testi, soprattutto se lunghi. La lettura su carta sviluppa attività cognitive, come la concentrazione, la costruzione del vocabolario e la memoria.
Infatti i dati emersi dal sondaggio danno un quadro chiaro: l’87,1% degli intervistati è d’accordo sull’idea di preservare e valorizzare nella scuola, soprattutto primaria, la lettura su carta e la scrittura a mano.
Solo il 14,3% ritiene sia importante che un bambino, nel corso degli anni scolastici, impari prevalentemente a leggere e scrivere utilizzando strumenti digitali. È bene sottolineare però che il 64,5% condivide l’utilizzo di strumenti digitali in ambito scolastico. E riguardo alle abitudini di scrittura, l’85,1% ricorda e capisce meglio prendendo appunti a mano.
Dal sondaggio inoltre emerge un buon rapporto personale degli insegnanti con gli strumenti tecnologici e digitali. Riescono a governare l’uso di questi strumenti nell’insegnamento e si sentono adeguatamente formati, oltre a riconoscerne una certa importanza. Ma il problema, in questo contesto, è che spesso la formazione e l’aggiornamento sull’utilizzo di questi strumenti è stata a carico degli insegnanti stessi, senza un supporto a livello istituzionale. I docenti, stando a quanto si legge, hanno quindi imparato in autonomia e grazie al loro interesse l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali.
Ha sostenuto Giuseppe Valditara nel corso del convegno: “La rete non può né deve spazzare via la carta e la penna perché lettura su carta e scrittura a mano sono insostituibili. L’apprendimento attraverso i libri non è rimuovibile dal sistema dell’istruzione”.
“La conoscenza, soprattutto nei primi anni di vita, passa attraverso la sollecitazione di tutti e cinque i sensi”, ha detto il ministro, “sollecitare solo la vista, come avviene con il digitale, impedirebbe lo sviluppo armonico e completo della persona. Il digitale non è rinunciabile, ma va governato”, chiarisce Valditara e aggiunge “alla logica dell’aut-aut preferisco la logica dell’et-et: valorizzare al massimo entrambe le opportunità”.
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