I figli devono essere portati per mano dai genitori fino in classe. Almeno quelli che hanno un’età inferiore ai 16 anni (per chi ha superato l’obbligo scolastico previsto dalla Moratti esiste un’ulteriore sentenza della Cassazione).
A stabilirlo è la sentenza della Corte di Cassazione numero 33847, destinata a una famiglia nomade. Una di quelle tante storie già viste, che ormai si conoscono alla nausea.
A Giulio (nome di fantasia), ufficialmente nomade, padre di due bambine, non importa se le figlie Anna e Maria (nomi di fantasia) alla scuola elementare vanno saltuariamente. Da parte della scuola scatta tutta una serie di precauzioni: prima le segnalazioni alla famiglia e poi agli assistenti sociali, ai carabinieri, con rapporti e denunce.
In questo caso l’articolo 731 del codice penale può servire a ben poco.
Infatti la norma recita: “Chiunque rivestito d’autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, omette senza giusto motivo, di impartirgli o di fargli impartire l’istruzione elementare è punito con l’ammenda fino a lire sessantamila”.
Nel rinvio a giudizio, il Giudice di Pace di Staiti e Brancaleone (in Calabria e precisamente nella Locride), pur non negando l’evidenza, ha assolto il nomade perché “manca la prova che fosse stata inviata ai genitori la comunicazione con la quale si informava delle assenze delle figlie, sicché manca la prova dell’elemento soggettivo del reato”.
In altre parole, il giudice un tantino troppo garantista, ha ipotizzato che, siccome i casi di omonimia nelle famiglie nomadi sono molti, non c’era la certezza che quelle comunicazioni fossero arrivate al “padre giusto”.
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