Cassazione: se il figlio non va scuola e ruba non sempre la colpa è dei genitori
Non sempre i genitori sono responsabili della devianza dei figli minori che, invece di andare a scuola, compiono atti di illegalità: la responsabilità di abbandono andrà divolta in volta verificata. A stabilirlo è stata la Quinta sezione penale della Corte di Cassazione – con la sentenza 39411 del 2006 – che nei giorni scorsi ha espresso un chiarimento sulla ricorrenza e sistematicità della violazione del dovere di custodia a proposito di una donna Rom condannata in primo e secondo grado per aver abbandonato il figlio minore di 16 anni trovato a rubare in un appartamento. “L’assunto secondo cui – si legge nelle motivazioni – di nuovo la commissione di un reato o anche l’attitudine di un minore a delinquere sia elemento (sempre e comunque) sintomatico di uno stato di abbandono tale da integrare il reato di cui all’articolo 591 c.p. è argomento che, per massimalistica generalizzazione, prova troppo, anche sul piano etico-sociale ed educativo”. Per i giudici della Cassazione non è possibile definire una volta per tutte che le famiglie siano la causa prima e naturale del comportamento dei figli. “Se, infatti – si continua a leggere nel verbale di sentenza – non può in astratto escludersi che dietro scellerate inclinazioni delinquenziali dei figli, vi siano colpevoli negligenze ed omissioni di vigilanza da parte dei genitori, è pur vero che, ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 591, occorre la prova che quelle omissioni integrino che, per ricorrenze sistematicità violazioni di doveri giuridici, tali da integrare abbandono”. L’ago della bilancia, quindi, sarebbe nel provare di volta in volta se il genitore è l’artefice del comportamento deviato o comunque sia mancato ai suoi doveri di patria potestà. “Avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice – continuano i giudici di legittimità – l’abbandono richiesto deve essere anche tale da esporre il minore o l’incapace ad una situazione di pericolo, anche potenziale, per la sua incolumità”.