Le aule scolastiche non possono essere qualificate come il domicilio, in quanto si tratta di un luogo dove può entrare un numero indeterminato di persone e per tale ragione deve essere considerate come luogo aperto al pubblico. E come tale in esso possono essere effettuate delle videoriprese.
A precisarlo è la Corte di Cassazione, Sezione VI penale, che con la sentenza n. 33593 del 3 agosto 2012 ha rigettato il ricorso di un’insegnate elementare, che è stata condannata per maltrattamento pluriaggravato commessi nei confronti dei propri alunni, bambini dai sette ai dieci anni d’età.
La donna, a sua difesa, aveva sostenuto che la raccolta di riprese non era stata preventivamente autorizzata dal giudice e, per tale ragione, non poteva rappresentare prova a suo carico. Il Pubblico Ministero, infatti, secondo gli avvocati difensori, avrebbero potuto disporre esclusivamente videoriprese in luoghi pubblici o aperti al pubblico dove la natura del luogo comporta un’implicita rinuncia alla riservatezza. L’aula scolastica, sempre secondo la difesa, godrebbe di riservatezza e autonomia, soprattutto durante lo svolgimento delle lezioni.
La Cassazione ha invece disposto che: “nel caso in esame deve escludersi che un’aula scolastica possa essere considerata un domicilio trattandosi, infatti, di un luogo dove può entrare un numero indeterminato di persone (alunni, professori, preposti alla sorveglianza e alla direzione dell’istituto, familiari degli alunni), essa va qualificata come luogo aperto al pubblico”.
È per tale ragione che il PM ha legittimante proceduto “senza alcuna necessità di chiedere l’autorizzazione al gip”.
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