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Cattedra inclusiva, un percorso da condividere

Il 25 gennaio 2024, nel Centro multimediale “Esperienza Europa – David Sassoli” a Roma, è stato presentato il  progetto di legge relativo alla cattedra inclusiva da parte dei proponenti: Evelina Chiocca, Paolo Fasce, Fernanda Fazio, Dario Ianes, Raffaele Iosa, Massimo Nutini, Nicola Striano.

Con piacere vedo che quanto proponevamo già nel 2015 (su Italian Journal of Special Education for Inclusion), insieme a Evelina Chiocca, Paolo Fasce, Giulia Giani, Michela Giangualano e Tina Naccarato, ribadito in un mio libro del 2016, nonché in diversi miei articoli sulle riviste La Tecnica della Scuola e Handicap & Scuola già dal 2012 (“Venti anni dopo la Legge 104, l’insegnante di sostegno è ancora utile?” Handicap&scuola, n° 163 Anno XXVII maggio-giugno 2012), viene ora di nuovo preso in considerazione.

Come la definisce Reginaldo Palermo in un suo articolo del 10 gennaio 2024, comparso su questa stessa rivista, si tratta di una proposta dirompente, ma non tanto per la novità, quanto per l’obbligatorietà.
Infatti già la legge sull’autonomia scolastica del 1999 prevedeva la possibilità di utilizzare le competenze degli insegnanti, oltre a quelle previste dalla classe di concorso per cui erano stati assunti.
Inoltre, più esplicitamente, l’articolo 14 del DM 66/2017, applicativo della legge 107/2015 contemplava: “Per valorizzare le competenze professionali e garantire la piena attuazione del Piano annuale di inclusione, il dirigente scolastico propone ai docenti dell’organico dell’autonomia di svolgere anche attività di sostegno didattico, purché in possesso della specializzazione” .

Finora però la realizzazione di queste cattedre miste si è limitato ad alcune realtà più aperte all’innovazione e quasi esclusivamente nella scuola dell’infanzia e primaria.
Nella scuola secondaria risulta molto più difficile da un punto di vista organizzativo, essendoci un’ampia pluralità di discipline, ma non impossibile. Si tratta di fare leva sulle possibilità offerte dall’organico di potenziamento.

Come suggerisce Paolo Fasce (dirigente scolastico di scuola secondaria di secondo grado) una soluzione, seppur parziale, potrebbe essere quella di richiedere, laddove ci siano spezzoni di cattedra, un insegnante della materia con titolo di specializzazione sul sostegno (quando tutti dovessero essere specializzati) per l’orario intero, considerando potenziamento la parte dell’orario non necessaria per la disciplina. Se oltre a questo docente anche gli altri dell’organico sulla stessa materia hanno il titolo di specializzazione, come auspica il progetto di legge, potrebbero svolgere tutti entrambi i ruoli.

All’attuale stato delle cose, essendoci pochi docenti che hanno concluso il corso di specializzazione, una volta esaurite le graduatorie degli specializzati, un’opzione può essere quella di chiedere a docenti di ruolo curricolari (specializzati o meno) di svolgere parte del loro orario come insegnanti di sostegno. Questo per far sì che le classi con allievi con disabilità possano essere sostenute da insegnanti stabili, che conoscono magari già la classe e gli allievi con disabilità e il cui profilo umano e professionale sia considerato dal dirigente idoneo al ruolo che viene loro affidato, invece di assegnare docenti dalle graduatorie incrociate con tanti problemi che ne derivano, tra cui la mancanza di continuità che mette in grande difficoltà gli allievi con disabilità e tutta la classe.

Un’altra possibilità è quella proposta da Giulia Giani (docente scuola secondaria di secondo grado), la quale pensa ad un organico potenziato nelle aree disciplinari più caratterizzanti l’istituto per avere un doppio docente di materia nelle classi in cui sono presenti allievi con disabilità. I due docenti, auspicabilmente entrambi specializzati, dovrebbero coordinarsi per attività in compresenza in cui entrambi si prendono cura dell’apprendimento di tutti i loro allievi.
Una situazione di questo tipo implica una formazione degli insegnanti non solo dal punto di vista della pedagogia e della didattica generale e speciale, ma anche dal punto di vista della capacità di lavorare insieme ad altri e delle relative competenze sociali necessarie. E qui ci troviamo di fronte ad un gap che andrebbe colmato, derivante dalle politiche altalenanti e cangianti ad ogni cambio di governo, sulla formazione iniziale e in itinere degli insegnanti.

Certo, tutto questo può trovare forti resistenze laddove molti insegnanti considerano svilente dal punto di vista del prestigio sociale aiutare un allievo con disabilità, invece di fare lezione dalla cattedra come insegnante di materia e questa resistenza è tanto più forte quanto più la scuola è considerata complessa dal punto di vista dello studio. Nei licei forse per qualcuno è quasi un affronto.

Ma proprio qui è il nucleo del problema: l’incapacità per alcuni di considerarsi insegnanti di tutti e di considerarsi impegnati a fare lezioni fruibili da tutti.
Certo qualcuno, leggendo queste parole, sta tremando sulla sedia immaginando l’abbassamento del livello che subirebbe un liceo o un prestigioso istituto tecnico se avesse tanti allievi con disabilità e l’insegnante curricolare dovesse occuparsi anche di loro. Probabilmente invece chi ha una formazione da insegnante specializzato potrebbe invece immaginare come preparare e condurre lezioni che aiutino chi ha difficoltà e migliorino nello stesso tempo il livello di apprendimento di coloro che imparano senza fatica, ma che magari si impegnano molto meno del necessario per mancanza di stimoli. Aiutare i compagni in situazioni di apprendimento cooperativo e peer tutoring, produce miglioramenti sia negli allievi con difficoltà di apprendimento che negli allievi che già ottengono valutazioni più alte.

Come ho già scritto nel precedente articolo comparso su queste pagine, i metodi individuati come utili per migliorare l’apprendimento di allievi con difficoltà non “rallentano” la classe, ma, al contrario, trasformano la classe in un laboratorio rinascimentale in cui tutti imparano al meglio e il maestro è guida e riferimento e non solo un espositore di argomenti che dispensa giudizi numerici, spesso inutilmente (dal punto di vista dell’apprendimento) ansiogeni.
In ogni caso, se pensiamo che aiutare persone con disabilità abbassi il nostro prestigio sociale, forse dobbiamo ripensare alla nostra scala di valori. Penso che possedere competenze di alto livello e saperle mettere a disposizione delle persone che hanno più difficoltà ad apprendere sia una scelta bella e di grande valore, anche per l’arricchimento umano e professionale che può dare a noi stessi, aiutandoci a scoprire quante abilità sono celate nelle persone che qualcuno chiama “disabili”, ma che è più corretto chiamare “con disabilità”, perché la disabilità è solo una delle loro tante caratteristiche.

Da questa ritrosia ad occuparsi anche degli allievi con disabilità deriva la componente di obbligatorietà che viene prospettata nel progetto di legge, alla luce del fatto che, pur essendo già possibile, sono rarissimi i casi di scuola secondaria in cui si sono realizzate cattedre miste/inclusive.

Certo in questi casi un obbligo che introduce significativi cambiamenti in una categoria professionale a mio parere ha scarse possibilità di successo, se non viene costruito un percorso condiviso. L’opposizione politica e sindacale renderebbe molto improbabile l’approvazione di un tale provvedimento, che contrasterebbe con diritti acquisiti al momento della stipula del contratto di assunzione e anche qualora ciò dovesse avvenire l’applicazione sarebbe fortemente ostacolata da una resistenza nel quotidiano che renderebbe di basso livello qualitativo il lavoro di persone non motivate e costrette a fare cose che pensano essere diverse da quelle per le quali erano state assunte, anche se in realtà scegliere di fare l’insegnante nella scuola italiana dovrebbe presupporre il fatto di lavorare con tutti gli allievi e con tutte le diverse forme di disabilità e di abilità.

Si aggiungono inoltre sicuramente i problemi che Salvatore Nocera e Flavio Fogarolo espongono nei loro articoli sulla rivista on line Superando.it: risulta difficile specializzare in pochi anni centinaia di migliaia di insegnanti, quando già attualmente le università non riescono a coprire tutte le richieste; inoltre i costi sono decisamente elevati, visto che tutto sarebbe a carico dello Stato.

L’aspetto positivo però consiste nel fatto che si muove qualcosa nella direzione di una inclusione più estesa e più vera.
Oggi infatti spesso l’inclusione non c’è realmente e le cause non risiedono certamente nel fatto che l’inclusione è un mito. I  problemi della scuola italiana non sono certo quelli paventati da Ernesto Galli Della Loggia nei suoi due famigerati articoli. Il problema reale è che ancora oggi molto spesso non si fa ciò che chiede la nostra normativa, la più avanzata al mondo.

Basterebbe applicare la legge 104/1992, come in ogni caso molto spesso avviene in tante situazioni virtuose, soprattutto quando sono presenti insegnanti specializzati e appassionati.

Si tratta allora forse di introdurre gradualmente il cambiamento.

Per esempio pensare ad un TFA di formazione iniziale per insegnanti curricolari, che già preveda un secondo anno di corso di specializzazione per il sostegno.

A quel punto potrebbero essere aboliti i concorsi e la procedura per l’immissione in ruolo potrebbe essere la stessa già utilizzata per gli insegnanti specializzati: assunzione da GPS e, alla fine dell’anno di prova, valutazione della commissione interna e seconda valutazione con una commissione esterna.

Non credo che nessuno potrebbe rimpiangere i concorsi, con prove preselettive caratterizzate da un iper nozionismo in grado di selezionare chi ha fortuna o chi ha una memoria fuori dall’ordinario, non certo qualità particolarmente utili per essere un buon insegnante.

Non gli studenti e le loro famiglie, dovrebbero rimpiangere l’attuale situazione, né gli aspiranti insegnanti, che dovrebbero sì affrontare due anni impegnativi di formazione, ma eviterebbero tempi indefiniti di precariato, che spesso dura decenni.
In ogni caso qualunque sia la proposta occorrono percorsi condivisi e bisogna evitare che gli insegnanti la vedano come imposta dall’alto senza considerare le loro opinioni, altrimenti la crisi di rigetto è inevitabile.

La legge 107/2015 aveva aspetti condivisibili, come la formazione iniziale simile a quella che qui sopra propongo, ma è stata imposta sulla testa degli insegnanti e su quella del Parlamento, per questo consta di un solo articolo con 209 commi, doveva essere approvata in toto, senza discussione e senza rischi di essere modificata o respinta, portandosi dietro i tanti punti irricevibili, mentre in piazza scendevano milioni di persone e molte scuole chiudevano per sciopero.

D’altra parte conteneva in sé questo spirito anticollaborativo: prevedeva premi in denaro individuali, senza comprendere che le scuole migliori non sono quelle con fenomeni di competizione interna, ma sono quelle ad alto livello di collaborazione, dove si può contare sull’aiuto dei colleghi e sulla progettazione comune, evitando la solitudine che spesso porta al burn out.
In ogni caso anche le parti più accettabili necessitavano di modifiche derivanti dal confronto con gli insegnanti.

Nel 2007, quando uscirono le prime Indicazioni Nazionali per il Curricolo, venne chiesto dal Ministro Fioroni di confrontarsi nelle scuole e far arrivare un feedback al ministero l’anno successivo. Come al solito il governo cadde e non se ne fece nulla, ma vidi tanti insegnanti partecipare attivamente a giugno ad incontri per i quali non c’era nessun obbligo, perché si sentivano valorizzati e avevano la sensazione di contare qualcosa.
In Finlandia le riforme seguono sempre una procedura simile.
Sarà anche per questo che il prestigio sociale degli insegnanti, a prescindere dal ruolo specifico, è sempre molto alto e i risultati degni di nota?
Il cambiamento può avvenire quando la procedura decisionale non prevede solo unidirezionalità dall’alto in basso, ma anche un riscontro dal basso verso l’alto.

Una vera riforma della scuola deve passare da chi la scuola la vive e la fa vivere quotidianamente, sbagliando, ma anche vivendo successi che nessuno riconosce e che vedi nel sorriso degli studenti quando tornano a ringraziarti.

Claudio Berretta

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