Politica scolastica

Cattedre miste: un’opportunità per migliorare i processi di inclusione

Un intervento di Paolo Fasce in risposta alla presa di posizione dei Partigiani della Scuola Pubblica.

Registro con rammarico una dura presa di posizione dei “Partigiani della scuola pubblica”, dei “Docenti della Rete dei 65 Movimenti” e dell'”Accademia nazionale docenti” che in un comunicato dell’8 agosto 2018, ripreso da La Tecnica della Scuola respingono l’ipotesi di cattedra mista.

Senza nasconderci dietro un dito, corre l’obbligo rilevare che questa posizione affonda le sue radici in esigenze egoistiche che si oppongono ad un utilizzo di insegnanti di ruolo, ormai passati sulla materia, nuovamente sul sostegno, ritenendo questo impegno umiliante o, comunque, una sorta di retrocessione. E’ una posizione ovviamente non esplicitata e questa posizione implicita si comprende anche alla luce dei poteri di indirizzo che sono sempre più assegnati ai dirigenti scolastici etichettati come “sceriffi”. Specie chi ha faticato molto a passare sul posto comune, chi ha fatto molto precariato sul sostegno, è stato assunto sul sostegno e ha dovuto attendere cinque anni prima di fare domanda di passaggio alla materia e, anche dopo tale periodo, il passaggio si è fatto attendere per l’intasamento di classi di concorso a basso scorrimento, comprensibilmente va in panico di fronte ad una siffatta possibilità.

A tutela di queste persone viene incontro proprio il comma dell’art. 14 del D.Lgs 66/2017 citato nel comunicato: “Per valorizzare le competenze professionali e garantire la piena attuazione del Piano annuale di inclusione, il dirigente scolastico propone ai docenti dell’organico dell’autonomia di svolgere anche attività di sostegno didattico, purché in possesso della specializzazione, in coerenza con quanto previsto dall’articolo 1, commi 5 e 79, della legge 13 luglio del 2015, n. 107”.

Appare evidente il significato della locuzione: “propone ai docenti dell’organico dell’autonomia” che non può essere interpretato in maniera coercitiva. Ed è evidente anche al più ottuso dei dirigenti il fatto che imporre il ritorno al sostegno a questo genere di “professionisti” riottosi non è utile a nessuno, in particolare allo studente disabile, quindi niente da temere, se non gli spettri legati a fobie comprensibili, ancorché ben poco giustificabili.

Rilevo un primo errore nello stesso comunicato allorquando gli estensori temono una possibile interpretazione estensiva della norma, “oltre ai docenti sul potenziamento… anche i docenti in possesso di specializzazione e titolari sulla disciplina”. Invero la distinzione tra docenti di potenziamento e docenti di cattedra è solo apparente perché tutti i docenti fanno parte dell’organico dell’autonomia e possono essere utilizzati in entrambi i ruoli.

Ma veniamo alle obiezioni pedagogiche.

Si evocano ripercussioni negative sulla professionalizzazione della classe docente “sulla specificità dei ruoli didattici, sulla qualità del sistema inclusivo…”. Invero non si capisce quali possano essere queste ripercussioni. Oggi un genitore di uno studente disabile, in molti casi si trova assegnato un insegnante di sostegno non specializzato (nel corso dell’ultimo anno scolastico, addirittura un semplice diplomato), mentre moltissimi sono gli specializzati su posto comune che, tornando parzialmente sul sostegno, non solo garantirebbero a priori maggiore professionalità, ma anche, essendo invecchiati, garantiscono una maggiore esperienza e incisività nei rapporti col consiglio di classe.

L’obiezione del possibile conseguente eccessivo frazionamento è del tutto teorica. Al contrario, specie nella scuola secondaria di secondo grado (ma in diversi casi anche in quella di primo grado) la presenza di insegnanti specializzati su materie “preziose” (nel senso seguente: di cui si sente particolarmente bisogno) potrebbe semplicemente e sanamente soddisfare esigenze vere.
L’abolizione delle aree non ha risolto queste piccolissime questioni materiali tanto rilevanti nella scuola secondaria, in particolare per quegli studenti il cui Piano Educativo Individualizzato è focalizzato sul raggiungimento degli obiettivi minimi.

Il comunicato afferma retoricamente che “Fare il docente di sostegno non è facile. Questo tipo di insegnante si trova già ad agire da collante in situazioni diverse. Per professionalità, sensibilità e formazione ha particolare abilità nell’intercettare le condizioni di disagio. Quando il docente di sostegno ha la cattedra interamente dedicata a una sola classe è la soluzione ideale perché in quel caso il docente può attivare tutti gli strumenti che gli sono propri per il benessere globale della classe”.
Viene da domandarsi quando un docente di sostegno abbia una cattedra interamente su una sola classe.
In un paese normale, questo dato potrebbe essere semplicemente rivelato dalla consultazione dei dati resi disponibili in qualche modo, ma il MIUR è stato accusato di atteggiamenti omissivi.
Ad ogni modo è del tutto evidente che le raccomandazioni relative all’attenzione che occorre tenere sul tema della frammentazione sono sacrosante, così come importantissimo il ruolo di raccordo di un insegnante di sostegno, compresente in diverse discipline. Restano infiniti dubbi sul fatto che questo ruolo possa essere interpretato efficacemente dall’ultimo arrivato, giovane, non specializzato, probabilmente neppure abilitato, spesso addirittura diplomato, come sopra già ricordato.

Sull’obiezione dello svilimento della cattedra mista usata come tappabuchi, occorre rilevare che qui stiamo parlando di docenti specializzati che, volontariamente, si offrono non già per “tappare buchi”, ma per fornire un servizio più qualificato di quelli che sarebbero attualmente concretamente realizzati.
Tutte le volte che si offre un servizio più qualificato, la professionalità complessiva (del docente, del collegio, della scuola, della professionalità insegnante percepita) cresce.

Trovo senza corrispondenza col reale l’ipotesi che un insegnante misto si ritroverebbe a rincorrere il tempo per completare il proprio programma curricolare. Né più, né meno degli altri, mentre, al contrario, come ha scritto Onorina Gardella in “Pensieri sottobanco – La scuola raccontata alla mia gatta” (il testo Erickson da me curato nel quale ho lanciato l’idea della cattedra mista) ormai una decina di anni fa, affermava: “Certo che, se gli alunni potessero rendersi conto che l’insegnante di sostegno è capace quanto quello sulla disciplina ed è dotato anche egli di un certo potere, la sua posizione nel lavoro della classe migliorerebbe senz’altro. Tutta la psicologia sistemica, oltre al buon senso, ci dice che quando si ha cura di cambiare i ruoli all’interno di un sistema, di non farli sclerotizzare, le patologie, le disfunzioni del sistema e le sofferenze dei singoli diminuiscono poiché aumentano le possibilità di cambiamento, di evoluzione, di innovazione personale e relazionale. In questo caso anche professionale”.

L’obiezione 2 è irricevibile.
Se uno fa 18 ore di sostegno, lavora su uno, due o tre casi e dove lavori su un caso solo (rapporto uno a uno) i rapporti con la famiglia di un solo studente, per quanto possano essere quotidiani e pervasivi, non sono mai onerosi quanto quelli con due o tre studenti. Il lavoro su materia o su sostegno hanno entrambi impegni sottesi pomeridiani, su profili e intensità temporali diverse, anche in funzione del numero di ore nelle quali il docente è impegnato. L’obiezione 2 è irricevibile anche alla luce del passo già citato di Onorina Gardella che nega, da un punto di vista tecnico scientifico, le ipotesi del comunicato contrario alla cattedra mista.

L’obiezione 3 sembra davvero illogica. Si legge “In una situazione di emergenza italiana sul sostegno in cui i docenti specializzati non bastano (e al tempo stesso quei pochi precari dotati di specializzazione non vengono assunti a tempo indeterminato), si vuole usare il docente specializzato come tappa buchi (perché questo sarebbe)?”.
Si rileva quindi che gli stessi “Partigiani” riconoscono la necessità di fondo che è quella di reperire personale specializzato che tra i precari non c’è, per infinite ragioni non indagate nel comunicato e sulle quali dovremmo aprire un capitolo a parte. La cattedra mista trova filoni di metallo prezioso che vengono riportati alla luce.

Il diritto dello studente disabile, occorre ricordarlo, è quello di trovare insegnanti specializzati e le argomentazioni del comunicato inducono a ribadire la validità della cattedra mista che tende a soddisfare questa esigenza sacrosanta, anche se i “Partigiani” parteggiano per quegli insegnanti timorosi di essere tiranneggiati da presidi sceriffi che li riportano ad uno stato di minorità, quello dell’insegnamento sul sostegno.
Tutto ciò è molto triste, ma perfettamente comprensibile. Da insegnante di matematica applicata, specializzato sul sostegno, quando ho cominciato a sostenere questa tesi da questo punto di forza (non più l’insegnante di sostegno che chiede ore di materia, ma viceversa quello che si offre per il ruolo di specializzato), non mi ero accorto di quanti, nella mia condizione, si sarebbero opposti a questa opzione per i motivi suddetti. E’ triste che si trovi il coraggio, al netto di cortine fumogene retoriche piuttosto sciatte, di esplicitare posizioni tanto retrograde, in particolare quando si brandiscono i disabili facendo credere che li si vuole tutelare, mentre la battaglia è di tutt’altro segno.

Uscendo dal D.Lgs. 66/2017 e ragionando in prospettiva, nella mia proposta di “cattedra mista” ci sarebbe una saldatura con una evoluzione della carriera insegnante e, ovviamente, una selezione in ingresso e incentivi stipendiali. Sono ragionevolmente convinto che, con questa prospettiva, sempre su base volontaria, qualcuno ritroverebbe motivazioni e vocazioni perdute. Ma l’opposizione dei “Partigiani” diverrebbe ancora più accesa perché si preferisce un formale “tutti uguali” dove è possibile coltivare orticelli di varia natura, piuttosto che esplicitare carriere alle quali solo con qualifiche precise e opportune selezioni non clientelari si potrebbe accedere.

Redazione

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