”Sono tempi difficili per le finanze nazionali ma – ha sottolineato la commissaria Ue all’educazione Androulla Vassiliou – abbiamo bisogno di un approccio coerente per gli investimenti pubblici nell’istruzione, poichè questa è la chiave per il futuro”. Se gli stati non investono ”adeguatamente”, il rischio, ha avvertito la Vassiliou, è che ”ci troveremo sempre più arretrati rispetto ai nostri concorrenti globali”, con difficoltà ad affrontare la disoccupazione giovanile.
L’Europa dunque, per bocca della commissaria Vassiliou, ci dice di investire sull’istruzione, invertendo una sciagurata tendenza, perché questa è la chiave per aprire il futuro ai paesi europei e a ciascuna Nazione e in particolare alla nostra che è risultata la maglia nera.
E allora, visto che è l’Europa a chiedercelo, possiamo sperare che anche questa volta ci adegueremo, considerato che tutte le altre volte, in negativo, si è tirato in ballo l’alibi europeo?
Ma vediamo i dati.
A ridurre gli investimenti nell’istruzione sono stati 20 tra paesi e regioni Ue, ma a superare quota 5% sono stati solo Italia (-3,8% nel 2011 e -6,8% nel 2012), Grecia (record di -17% nel solo 2011), Portogallo, Cipro, Ungheria, Lettonia e Lituania. Tagli inferiori ma comunque significativi, dall’1% al 5%, in Irlanda, Spagna, Slovenia, Slovacchia, Polonia, Estonia, Bulgaria, Repubblica Ceca e Belgio francofono.
Ad aumentare la spesa per la scuola, invece, sono stati solo Lussemburgo, Malta, Austria, Svezia e Finlandia. Dallo studio Ue emerge anche che gli stipendi degli insegnanti sono stati ridotti o congelati in 11 paesi tra cui l’Italia, che ha registrato un calo dei costi per le risorse umane del 5% nel 2011 e del 6% nel 2012. I tagli hanno anche causato riduzioni nel numero dei docenti in 10 stati, Italia inclusa, dove nel 2010 e’ calato del 6%, anche per effetto della legge 133/2008.
Drastico taglio poi nelle spese per la formazione professionale degli insegnanti, che in Italia è stata ridotta del 50% tra 2011-2012 anche in ragione della legislazione introdotta nel 2010. Nell’ultimo biennio, inoltre, ben due terzi dei paesi europei hanno chiuso o fuso tra loro istituti scolastici, e in Portogallo, Polonia, Slovacchia, Danimarca e Islanda il contesto economico è stato indicato come uno dei ”principali fattori”, mentre in Italia come ”la principale ragione”.
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