Anche l’OCSE vuole dire la sua sugli effetti nocivi che gli incontri troppo ravvicinati con gli smartphone produrrebbero sul rendimento scolastico degli adolescenti.
La notizia la riporta il quotidiano francese Le Monde: l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ha pubblicato il 7 maggio scorso un Rapporto sui legami tra telefonini, prestazioni scolastiche e benessere personale degli alunni.
Forte dei suoi 60 anni di esperienza internazionale e dei suoi 37 Paesi membri – dall’Australia all’Ungheria – l’OCSE ha potuto gettare uno sguardo ampio su una grande platea di quindicenni, in particolare analizzando i questionari ai quali i ragazzi hanno risposto, contestualmente ai test di valutazione PISA del 2022 in Matematica, Lettura e Scienze.
Il risultato di questa ricerca appare scontato: in media, il 65% dei ragazzi intervistati appartenenti a un Paese OCSE ha dichiarato di essere distratto dall’uso del proprio cellulare in classe, mentre il 59% afferma di essere distratto dai compagni che usano il telefonino. Le percentuali schizzano all’80% in Paesi come l’Argentina e l’Uruguay, mentre crollano al 32% in Corea e al 18% in Giappone. Giusto per rafforzare lo stereotipo che veicola i Paesi latino-americani come quelli in cui è più facile aggirare ostacoli e infrangere regole e i Paesi asiatici come il regno della severità e del rispetto delle norme.
Il problema è che non di semplice distrazione si tratta: secondo i curatori della ricerca, la distrazione provocata dall’uso del telefonino in classe entra in relazione diretta con i meccanismi che regolano l’apprendimento dei ragazzi, con il conseguente calo delle prestazioni e dei risultati scolastici.
Ecco, dunque, che lo smartphone diventa una vera e propria arma a doppio taglio: da un lato, strumento di inclusione e di appartenenza al gruppo e importante risorsa per ricerche e compiti da svolgere; dall’altro, mezzo “tentatore”, vettore di distrazione e di dispersione della concentrazione.
Ecco perché è proprio “distrazione” la parola-chiave del Rapporto OCSE, contro cui l’Organizzazione internazionale chiama alla lotta i vari governi affinché si adoperino per trovare una soluzione a un problema che è planetario, al quale nessun Paese sfugge.
Certo, sono molti i Paesi che si sono da tempo attivati in tal senso e l’Italia è uno di questi. Tuttavia, le regole imposte dall’alto non bastano, i ragazzi troveranno sempre il modo di nascondere il telefonino da qualche parte e di utilizzarlo alle spalle del docente di turno. Come ha detto bene Massimo Recalcati in un suo recente articolo pubblicato su La Repubblica, “concepire l’educazione a partire dalle regole è una impostura perché non considera la differenza che sussiste tra le regole e il senso della Legge. Non a caso nel nostro Paese le regole tendono a moltiplicarsi proprio perché manca l’acquisizione collettiva del senso della Legge. La vita della Scuola dovrebbe avere come compito più alto quello di trasmettere il senso della Legge al di là del rispetto formale delle regole.”
E questo è un compito di ben altra portata rispetto alla semplice enumerazione di regole e castighi. Si gioca sul lungo termine, ma è l’unico ad avere un valore pedagogico serio.
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