Si reinfiamma la polemica sui cellulari a scuola. Sacrosantamente vietati, ma in virtù di trucchi, sotterfugi, stratagemmi sempre utilizzati da chi si crede più furbo e in dovere di far fessi gli altri.
In alcune scuole (come la mia) vige la seguente regola: studente sorpreso a usarlo? Sequestro dell’apparecchio, consegna in presidenza, ritiro da parte dei genitori, a meno che l’interessato non sia maggiorenne, nel qual caso va a ritirarselo lui. Ovviamente il tutto accompagnato da ramanzina, nota disciplinare e quant’altro.
Funziona? Mah, mica sempre. Ricordo che un padre denunciò il preside che aveva “osato” ritirare il cellulare alla figlia colta in “flagranza di reato”.
E se lo studente ti dice (verità o bugia?) che il cellulare è per lui questione di vita o di morte perché giusto in quel periodo la nonna è malata e potrebbe morire da un momento all’altro, quindi lui deve essere avvertito immediatamente? Oppure la mamma gli deve comunicare quante pastiglie prendere di quella medicina importantissima?
Sapete: gli insegnanti hanno anche un po’ paura a osare troppo, considerato che alcuni si sono visti trascinati in tribunale e condannati con le motivazioni più ridicole e vergognose. Chi ha voglia di rischiare?
Le famigerate note sul registro? Agli studenti fanno il solletico, perché sanno quanto sia altamente improbabile arrivare al 5 di condotta con relativa bocciatura: al massimo prenderanno 8 o 7 invece di 9 o 10, ma che gliene frega? Vengono promossi lo stesso.
Per non parlare di chi – furbastro – di cellulari ne ha 2 se non 3 e quindi ne deposita tranquillamente 1 e usa altrettanto tranquillamente gli altri.
Davanti a un quadro così desolante cosa fare? La soluzione ci sarebbe: applicazione più rigorosa ed inflessibile delle norme, anche a scapito del “quieto vivere” e – se si arriva davanti a un giudice – maggior buon senso da parte di costui.
Daniele Orla
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