Non sono allegre le notizie riportate dal Censis a seguito della realizzazione dell’ultimo ‘profilo’ del giovane bullo italiano: il fenomeno, infatti, oltre ad essere in aumento coinvolge dei protagonisti ‘attivi’ sempre più giovani. Fa riflettere non poco, poi, il fatto che il bullo del nuovo secolo non proviene necessariamente da una realtà familiare fatta di povertà e di emarginazione, ma piuttosto è vittima di un disagio sociale e relazionale che può attraversare ogni strato sociale: anche quelli più alti e apparentemente scevri da questo tipo di dinamiche.
L’indagine, che rientra nel 42esimo ‘Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese’, è stata realizzata su un campione di 2.000 famiglie con almeno un figlio alle elementari, medie inferiori e superiori nell’anno scolastico 2007-2008.
Questi i numeri: in generale la quota di famiglie che denuncia la presenza di atti reiterati nelle classi frequentate dai figli è pari al 22,3% del totale, mentre nel 27,6% delle classi si tratterebbe di fatti isolati e il restante 50,1% non sarebbe interessato al problema. I genitori nel 28,7% dei casi registrano offese ripetute ai danni di uno stesso alunno, nel 25,9% segnalano scherzi pesanti e umiliazioni, nel 24,6% riferiscono di casi di isolamento, nel 21,7% di botte, calci e pugni. Malgrado il clamore degli ultimi anni, sembra invece rimanere marginale il cosiddetto cyber bullismo: le violenze che si avvalgono web e le nuove tecnologie informatiche per diffondere l’accaduto a una platea più vasta possibile.
Il Censis ha provato anche a chiedere alle famiglie se la scuola possa avere la responsabilità principale degli atti di intimidazione e di violenza: la risposta è stata negativa, “perché ritengono insufficienti – si legge nel rapporto finale – gli strumenti che hanno a disposizione gli insegnanti per contrastare il fenomeno”. E, infatti, richiedono la presenza di figure professionali specifiche e il ricorso a sanzioni disciplinari più severe.
Per tutti questi motivi oggi in Italia “il bullismo è un fenomeno in crescita – conclude il Censis – e non può essere liquidato come semplice bolla mediatica”.