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Censis: meno abbandoni, ma sale il numero di chi non studia né lavora

L’obiettivo europeo di portare nel 2020 gli abbandoni scolastici in età precoce sotto la soglia del 10 per cento è ancora lontano, però in Italia il fenomeno si sta lentamente riducendo. Il dato è riportato nel 45° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese: nel 2010 la quota di giovani 18-24enni in possesso della sola licenza media e non più inseriti in percorsi formativi è scesa dal 19,2% al 18,8%.
Tuttavia quello della dispersione scolastica è un fenomeno che si caratterizza per le profonde differenze territoriali. Se il Centro che rimane l’area dove tale indicatore è più contenuto (14,8%), al Sud, in particolare nelle isole, il fenomeno appare quasi drammatico. Il caso della Sicilia è emblematico: almeno un giovane, sempre nella fascia d’età compresa 15 ed i 24 anni, fa parte della categoria degli “early school leavers”, i giovani che hanno lasciato la scuola prima del tempo e senza tornare sui loro passi.
Tra i comparti scolastici dove il Miur, ma anche gli Enti locali, dovrebbe operare con maggiore convinzione è quello delle biennio iniziale delle superiori, in particolare sui primi mesi di frequentazione degli istituti di secondo grado: nel triennio 2006-2010 il numero di giovani, in prevalenza 15enni, che hanno lascito i banchi sono addirittura aumentati, passando dal 15,6% al 16,7% (meno nei licei e di più negli istituti professionali).
Ma l’indagine emerge si sofferma anche su un altro triste fenomeno: quello dei giovani “Neet”, i ragazzi che non studiano e non lavorano. Ebbene, la quota di 15-29enni senza alcuna occupazione, formativa e lavorativa, ha ripreso a crescere con l’inizio della crisi economica, attestandosi nel 2010 al 22,1% rispetto al 20,5% dell’anno precedente. Su questo fronte l’Italia detiene il triste primato a livello europeo, facendo tornare in auge il discusso sostantivo “bamboccioni” (non sempre per scelta!), coniato qualche anno fa dallo scomparso ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa.
Il Censis è poi andato a scandagliare le scelte fatte dai giovani in occasione del passaggio medie-superiori: rispetto al 2010, le iscrizioni all’anno in corso hanno fatto registrare un + 0,4% di iscrizioni ai tecnici. Mentre dalla riforma, i professionali hanno sembrano non aver goduto dei benefici sperati, perdendo addirittura il 3,4% di neoiscritti. Un andamento che stride, peraltro, con le richieste di personale – giunte nel 2011 dalle aziende – rivolte ai giovani con sola qualifica professionale: sono aumentate, passando dall’11,7% del totale nel 2010 al 13,5% del 2011. Eppure i giovani che si rivolgono ai percorsi triennali di istruzione e formazione professionale costituiscono solo il 6,7% del totale degli iscritti al secondo ciclo di istruzione, pari a circa 38.000 studenti l’anno.
Alessandro Giuliani

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