Categorie: Ordinamento

Censis, su 36mila edifici il 33% non ha l’antincendio, ma alle superiori cresce l’internazionalizzazione.Chi può studia fuori

Il 46° Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese fotografa una realtà già fin troppo conosciuta e ancora abbandonata a se stessa per quanto riguarda almeno la scuola e infatti degli oltre 36 mila edifici scolastici censiti, il 30% risale a prima del 1960 e ben il 44% è stato costruito negli anni ’60 e ’70, quindi in una fase in cui temi come la sicurezza antisismica erano ancora poco presenti nella legislazione, mentre solo un quarto degli edifici (in Liguria appena il 13%, in Piemonte il 17%), è stato realizzato negli ultimi tre decenni. Anche in questo caso dobbiamo fare i conti con edifici e attrezzature pubbliche realizzati rapidamente e spesso in modo inadeguato. Il 33,5% delle scuole italiane non possiede un impianto idrico antincendio; la metà di esse (50,7%) non dispone di una scala interna di sicurezza; la dichiarazione di conformità dell’impianto elettrico manca in circa il 40% dei casi. Edifici non a norma dunque ma dentro i quali abitano giornalmente popolazioni di ragazzi, insegnanti e personale che possono sfiorare pure oltre i mille abitanti ma della cui sicurezza nessuno si interessa. E infatti poichè l’ottenimento del Certificato di Prevenzione Incendi (Cpi), obbligatorio per le scuole con oltre 100 persone presenti, richiede il rispetto di tutti i requisiti previsti dalla normativa, non stupisce il fatto che attualmente appena il 17,7% degli edifici scolastici italiani ne sia provvisto. Anche in questo caso i divari regionali sono notevoli: il Cpi è presente nel 36% delle scuole dell’Emilia Romagna ed appena nel 4,6% di quelle della Sardegna. In ogni caso i dati indicano una situazione più critica al Sud e nel Lazio.
Per quanto riguarda invece l’annuale rilevazione sui dirigenti scolastici, che quest’anno ha coinvolto 762 dirigenti di istituti di istruzione secondaria di II grado, il Censi restituisce uno scenario di diffusa reattività e vitalità nell’ambito dell’internazionalizzazione dell’offerta formativa dei loro istituti.
Il 68,1% dei dirigenti ha dichiarato che, pur non senza difficoltà, la propria scuola negli ultimi cinque anni ha partecipato a questo tipo di iniziative. Lo hanno fatto di più gli istituti tecnici (74%), seguiti dai professionali (70,5%) e dai licei (64,5%), e le scuole collocate nella ripartizione Sud e isole, aderenti per oltre il 73% (Centro 66,9%, Nord-Est 65,8%, Nord-Ovest 58,9%).
Tra le problematicità evidenziate, il 47% delle scuole ”internazionalizzate” ha indicato la conciliazione di questo tipo di progetti con l’ordinaria gestione dell’istituto e il 46,8% le procedure amministrative eccessivamente complesse.
E’ la mobilità degli studenti per scambi, tirocini e soggiorni di studio all’estero (76,6%) la principale delle azioni portate avanti dalle scuole, seguita da quella dei docenti (38%) e dalla cooperazione tra scuole (visite preparatorie 27,4%, partenariati di cooperazione 24%, reti tematiche 21,2%).
Oltre ai finanziamenti erogati dai programmi Comenius (57,4%) e Leonardo Da Vinci (22,3%), le scuole hanno beneficiato in questi anni anche delle risorse del Fondo sociale europeo, cui hanno avuto accesso a livello nazionale il 30,6% delle scuole e il 54,8% di quelle del Sud.
La maggiore internazionalizzazione dell’offerta scolastica è però anche merito dei contributi delle famiglie, che hanno finanziato nella misura del 17,2% le iniziative di mobilità delle scuole, solitamente per l’apprendimento delle lingue straniere. 
per quanto riguarda invece l’istruzione
La scuola non serve più. Basta con i licei che impongono lunghi (e inutili) percorsi di studio e basta, soprattutto, con l’università. 
C’è stato un travaso di adesioni alle scuole tecniche e professionali negli ultimi due anni, rileva il Censis, e dal 2006 al 2011 il numero delle immatricolazioni all’università è diminuiti del 6,5%. 
La disaffezione verso l’istruzione come investimento è dovuta al fatto che non la si considera più importante per la ricerca di un lavoro e come ascensore sociale. 
Per contro, nella fascia più colta e ricca della popolazione, aumenta «l’internazionalizzazione della formazione»: chi può – dice il Censis – manda i figlia studiare per lunghi periodi all’estero e investe sulle lingue.

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