leggo da alcuni giorni su ‘La Tecnica della Scuola’ – un sito internet che seguo con interessante e che trovo particolarmente aggiornato – alcuni articoli polemici sui concorsi scolastici e sulle loro modalità di svolgimento.
Ho ritenuto di intervenire in questo dibattito perché penso, pur nel rispetto di ogni opinione, che si tratti di critiche basate su argomentazioni erronee.
Ad essere messo in dubbio è innanzitutto un principio costituzionale, ossia il fatto che alla Pubblica Amministrazione si acceda per concorso, e in seconda battuta il fatto che le prove siano effettivamente trasparenti, imparziali e anonime. Mi chiedo come mai simili attacchi arrivino proprio mentre si stanno svolgendo le prove preselettive del concorso per docenti, dopo 13 anni dall’ultima volta, con 86.723 candidati. E, per di più, in un momento in cui, a più riprese e in più regioni, il concorso per dirigenti è stato sottoposto alle critiche di chi non aveva superato le prove preselettive, scritte o orali. Il tutto sempre appellandosi a presunti errori, come il libro per il test o fantomatiche buste trasparenti (che non lo sono per il Poligrafico di Stato), e chiamando sempre in causa la Giustizia Amministrativa.
Non dico che le regole attuali con cui vengono condotti i concorsi per la selezione del personale scolastico siano le migliori in assoluto. Anzi, sono certa che debbano essere migliorate. Ma l’impressione che viene da tutto questo accanimento è che, purtroppo, nel nostro Paese ci sia una diffusa mentalità in base alla quale chi non supera un concorso tende ad attribuire ad altri le colpe. Nel caso di specie, si punta il dito contro i valutatori, contro le procedure, ma mai contro la propria scarsa o inadeguata preparazione. Questo è ancor più grave se si tratta di aspiranti insegnanti, ossia di coloro che dovrebbero valutare le capacità e il merito degli studenti e insegnare loro ad accettare le sconfitte come occasioni di crescita.
Purtroppo viviamo nel Paese dei diritti acquisiti e garantiti a scapito del merito e della preparazione, dell’impegno e della passione. E questo non è un problema giudiziario o normativo, ma è un problema culturale! Volendo essere maliziosi, verrebbe da pensare che gran parte delle critiche in questione provengano da chi vorrebbe limitare le forme di reclutamento nella scuola alle sole graduatorie ad esaurimento, eliminando quindi ogni valutazione di merito, o, al più, alle chiamate dirette da parte dei dirigenti scolastici.
Ritengo poi opportune alcune precisazioni rispetto alle accuse che mi sono state rivolte in un articolo pubblicato sul suo sito lo scorso 14 dicembre, dal titolo “Scatti di anzianità, i partiti sul carro dei vincitori”.
Anche in questo caso, la mia difesa non è un tentativo di negare l’esistenza di problemi e di criticità a ridosso delle elezioni e nemmeno la ricerca di consenso con promesse che non possono essere mantenute. Ma con la stessa onestà intellettuale posso affermare, senza timore di smentita, che nelle mie dichiarazioni sulla scuola, e quindi anche in quella sugli scatti di anzianità, non c’è alcuna volontà di salire su nessun carro di nessun vincitore, ma c’è solo l’intento di valorizzare quanto fatto: non tutti sanno che gli scatti anzianità avrebbero dovuto essere per l’attuale Ministro merce di scambio in cambio dell’aumento dell’orario di insegnamento dei docenti!
Nell’articolo mi viene contestato, tra le altre cose, di attribuire il merito del buon esito della trattativa sugli scatti di anzianità ai partiti politici. Così facendo, si è commesso un duplice errore: da una lato, mi è stata attribuita una frase che non ho mai pronunciato, dall’altro si nega che il Governo Berlusconi e il ministro Gelmini siano intervenuti con una norma che ha permesso di pagare gli scatti di anzianità del 2010 con i risparmi derivanti dalla Finanziaria del 2008. E che il Governo Monti, da ultimo, abbia avuto una parte importante nella conclusione positiva della vicenda degli scatti del 2011. Vale inoltre la pena ricordare che nelle trattative sindacali riguardanti il pubblico impiego, il Parlamento, con le forze politiche che lo compongono, e il Governo rivestono un ruolo fondamentale, sia in qualità di arbitri sia in qualità di erogatori delle risorse necessarie a rendere effettivi gli accordi raggiunti.
Nello stesso articolo, partendo dalla mia richiesta di avviare una riflessione insieme al mondo della scuola sul ruolo e sulla valorizzazione dei docenti, il giornalista dapprima osserva che il mancato dialogo in tal senso non è imputabile ai lavoratori della scuola, quindi domanda in modo provocatorio chi abbia introdotto la norma che bloccava gli scatti stipendiali e quella sulle 24 ore.
Innanzitutto, essendo io stessa una docente, non ho mai lontanamente pensato di imputare al mondo della scuola la mancanza di una riflessione approfondita sui problemi che lo riguardano. Conosco bene e in prima persona quei problemi e ho sempre difeso gli insegnanti anche di fronte agli ultimi, pesanti attacchi che gli sono stati rivolti da più parti, anche da chi è additato come pater patriae.
Infine, l’artefice della misura che voleva aumentare d’imperio l’orario di lavoro degli insegnanti è facilmente individuabile nell’attuale Ministro dell’Istruzione, che ha subito, senza proferir parola, il diktat del Ministro dell’economia e della finanza Grilli! Così come sarebbe stato facile constatare, se il giornalista ne avesse avuto voglia, che quella norma è stata abolita dalla legge di stabilità solo grazie alla collaborazione tra le forze politiche di maggioranza e, in particolare, ad un emendamento abrogativo firmato dall’on. Manuela Ghizzoni, del Partito Democratico, da Luisa Santolini, dell’Udc, e da me.