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Centinaia di scuole perdono l’autonomia, la Puglia sul “carro” delle proteste: il Governo non sente la gente. Ma qualche taglio era nell’aria IL PUNTO

Il mini-dimensionamento scolastico del Governo Meloni, approvato con la Legge di Bilancio 2023, comincia creare più di un dissenso. Il calo di nascite e di iscrizioni, alla media di oltre 100 mila l’anno, ha infatti indotto l’esecutivo a prevedere l’accorpamento in alcuni anni di circa 700 istituti scolastici (con la sparizione di altrettanti presidi e Dsga, più qualche migliaio di amministrativi) con la prima tranche di fusioni (un centinaio) prevista già entro un anno. Le Regioni interessate agli accorpamenti sono quasi esclusivamente quelle meridionali: in Campania si prevedono 140 fusioni, in Sicilia 109, in Calabria 79, in Puglia 66. Sono stati programmati anche 45 accorpamenti di scuole in Sardegna e 37 nel Lazio.

Ha iniziato la Campania…

Dopo la comunicazione alla Conferenza Stato-Regioni sull’intenzione di arrivare ad inizio estate ad individuare le scuole da unire, i malumori (non solo dei sindacati) si stanno allargando. E si stanno trasformando in azioni di dissenso reali.

E’ di pochi giorni fa l’annuncio del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, “di impugnare la decisione del governo sul dimensionamento scolastico davanti alla Corte Costituzionale: ci auguriamo che altri presidenti di regione non solo del Sud seguano questa strada a tutela dei propri territori e dei propri cittadini”, ha sottolineato De Luca.

La Puglia sta coi sindacati

E così sta andando. Mercoledì 8 febbraio la Regione Puglia ha fatto sapere che sosterrà i sindacati che si oppongono agli accorpamenti degli istituti che hanno meno di 900 iscritti.

La decisione è arrivata dopo che nella stessa giornata si è svolto a Bari un incontro tra l’assessore regionale all’Istruzione Sebastiano Leo, l’Ufficio scolastico della Puglia e le organizzazioni sindacali del comparto scuola.

“La Puglia – ha detto Leo – resisterà con forza ad una politica che vuole accorpare le scuole senza alcuna reale riflessione, che non tiene conto della natura articolata della scuola, delle esigenze delle regioni, dei territori, della voce delle persone che noi in qualità di assessori rappresentiamo”.

Secondo l’assessore pugliese, “l’autonomia didattica non è un diritto su cui si può trattare, non si tratta sul futuro dei ragazzi, non si tratta sul futuro dei lavoratori, non si tratta sull’unico strumento di democrazia reale: la scuola”.

Le proteste della Flc-Cgil Sicilia

In Sicilia a farsi sentire sono per ora i sindacati. “Ancora tagli tra le scuole sottodimensionate e la Sicilia tanto per cambiare sarà la regione più danneggiata, dopo la Campania, con una riduzione per l’anno scolastico 2024/25 di 109 scuole a causa degli accorpamenti”, ha detto di recente Adriano Rizza, segretario regionale della Flc-Cgil Sicilia.

“Il dimensionamento scolastico previsto nell’ultima legge di bilancio varata dal governo nazionale – ha continuato Rizza – aumenta da 600 a 900 la soglia minima di studenti che gli istituti devono avere per rimanere in vita. Questo vuol dire che a partire dall’anno 2024/25, tutte le scuole con meno di 900 studenti dovranno essere accorpate ad altre. L’obiettivo è evidente: risparmiare risorse a scapito del buon funzionamento dell’attività scolastica, riducendo il numero dei dirigenti e del personale amministrativo”.

La difesa di Valditara

Non si esclude, quindi, che anche la Puglia possa tentare un’azione legale contro i tagli. Dal canto suo, il ministro Giuseppe Valditara, reputa la fusione delle scuole un’operazione molto meno evidente rispetto a quella conseguente al vistoso calo di nascite: il numero uno del dicastero dell’Istruzione, qualche settimana fa, ha definito infatti l’operazione come un “efficientamento della presenza della dirigenza sul territorio, eliminando l’abuso della misura della reggenza” senza prevedere “chiusure di plessi scolastici”.

Inoltre, sempre per Valditara, il Governo Meloni avrebbe “mitigato gli effetti delle normative precedenti e osservato i vincoli dell’Ue in attuazione del PNRR: non si può essere europeisti a corrente alternata”.

Il risultato di denatalità e mancate risposte

Già abbiamo avuto modo di scrivere che, in effetti, condizioni per la riduzione di scuole autonome sembrerebbero esservi. Ancora di più perché nessun Governo è riuscito a ridurre i parametri che portano alla formazione delle classi, mostrando da questo punto di vista colpevole passività.

Si calcola che nel prossimo decennio a causa della forte denatalità si passerà dagli attuali 8 milioni abbondanti di alunni a meno di 7 milioni. Fino a sprofondare a circa 6,7 milioni nel 2034. In queste condizioni, con prime classi alle superiori formate con almeno 27 iscritti, come si poteva sperare di non avere ripercussioni sulle scuole e sugli organici?

Alessandro Giuliani

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