Esattamente cento anni fa, era il 9 novembre 1921, il movimento fondato da Benito Mussolini si trasformava nel Partito nazionale fascista. L’atto di battesimo del Pnf avvenne al teatro Augusteo di Roma, durante il terzo Congresso nazionale dei Fasci italiani di combattimento, che avevano visto la luce solo due anni e mezzo prima a Milano, in piazza San Sepolcro: si contraddistinsero per una serie di atti di squadrismo diretti contro uomini e cose, che assicurarono loro il sostegno e i primi finanziamenti dei ceti possidenti.
“Questi – ha detto all’Adnkronos lo storico Miguel Gotor, professore di storia moderna presso l’Università di Tor Vergata di Roma e neo assessore alla Cultura della Capitale – si sentivano minacciati dal processo di democratizzazione in corso nella società italiana ed erano allarmati dal cosiddetto ‘pericolo rosso’, che rivendicava il cambiamento dei rapporti tra capitale e lavoro nelle fabbriche e la ridistribuzione delle terre improduttive nelle campagne”.
“Mussolini nel 1919 si presentò davanti all’opinione pubblica italiana come ‘antipartito’ e ciò – ricorda il professore Gotor – gli consentì di intercettare il disprezzo tipico delle classi dirigenti liberali per il ‘gregge anonimo’ dei nuovi soggetti politici di massa, in particolare i socialisti e i popolari, ma anche di sfruttare il rancore dei democratici contro il potere costituito dalle nascenti oligarchie di partito”.
La trasformazione del movimento in partito fascista, esattamente un secolo fa, secondo lo storico, è quella verso “un organo disciplinato e militarizzato rispondente al suo unico duce, un passaggio organizzativo e politico determinante per prendere il potere con la marcia su Roma l’anno successivo”.
Con la ‘marcia su Roma’ del 28 ottobre 1922, Mussolini venne nominato capo del governo. Dal 1928 al 1943 il Partito nazionale fascista fu l’unico partito riconosciuto in Italia.
Il Pnf subì diverse trasformazioni, determinate dapprima dalla necessità di Mussolini di limitare l’autonomia politica delle disparate correnti che avevano fatto originariamente capo al movimento fascista, quindi alla volontà di realizzare una completa compenetrazione fra Stato, amministrazione pubblica e partito, garantendo al duce il completo controllo sulle attività.
Al primo statuto del partito, del dicembre 1921, che aveva formato un organismo gerarchico, ma comunque costituito da cariche elettive e controllato da un comitato centrale espresso dal congresso nazionale, si andò gradatamente sostituendo, attraverso i cinque statuti successivi (1926, 1928, 1932, 1938 e 1941), un organismo burocratico, strettamente sottoposto alla volontà del duce e articolato in tutti i gangli della società civile e della pubblica amministrazione.
Il Partito nazionale fascista fu soppresso con il Regio decreto n. 704 il 2 agosto 1943: pochi giorni prima, il 25 luglio 1943, il Gran consiglio aveva dichiarato decaduto Mussolini dalla carica di capo del governo; il 27 luglio il nuovo governo del generale Pietro Badoglio sciolse il Pnf e le sue organizzazioni. La Costituzione repubblicana del 1948 ne vietò la ricostituzione.
“un anniversario che, a un secolo di distanza dall’inizio della pagina più buia della storia italiana, è necessario ricordare proprio per non dimenticare”, ha detto alla rivista MicroMega lo storico Francesco Filippi, autore per la casa editrice Bollati Boringhieri dei libri “Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo” (2019), “Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto” (2020) e “Noi però gli abbiamo fatto le strade. Le colonie italiane tra bugie, razzismi e amnesie” (2021).
“Gli eventi recenti – ha continuato Filippi, riferendosi agli scontri a Roma dello scorso 9 ottobre e alla devastazione della sede nazionale della Cgil – ci mostrano come quel modo di assaltare la democrazia, forzarne l’ambito politico per piegare la volontà di massa alla ragione della forza di alcuni, è ancora ben presente nella nostra società il fascismo non va mai considerato come una malattia ma come un sintomo della malattia che affligge una democrazia”
Filippi approfondisce il concetto che “in costruzioni sociali simili si ripetono eventi simili: una società in crisi sente nelle frange più estreme il bisogno di rivolgersi al classico ‘uomo forte’, come ci piace chiamarlo, e l’Italia, che è in crisi da tempo, ha ripescato la peggiore delle esperienze esaltandola”.
Il concetto è chiaro: una società in crisi è più esposta al rischio di un nuovo partito fascista. E siccome la crisi italiana è sotto gli occhi di tutti, è bene non dimenticarlo.
Sarebbe utile sapere come procede, a questo proposito, l’iniziativa del deputato Pd Emanuele Fiano di presentare, “una mozione urgente alla Camera per chiedere lo scioglimento di Forza Nuova e degli altri movimenti dichiaratamente fascisti“.
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