Un’interessante novità, assolutamente da condividere, è da cogliere nella bozza dell’Ordinanza Ministeriale sugli Esami di Stato, diffusa qualche giorno fa e inviata al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione per il necessario parere.
Nell’ articolo 17, che disciplina “l’articolazione e le modalità di svolgimento del colloquio d’esame”, al comma 1 b leggiamo, infatti, che l’esame, dopo la discussione di un elaborato concernente le discipline d’indirizzo, prevede la “discussione di un breve testo, già oggetto di studio nell’ambito di insegnamento di lingua e letteratura italiana durante il quinto anno e ricompreso nel documento del 15 maggio”. Testi che vanno indicati nel suddetto documento di cui all’articolo 9 dell’O.M. La bozza recita “ un testo breve” e non poteva essere altrimenti: in un colloquio della durata complessiva di un’ora, in cui il candidato deve interagire con sei commissari e un Presidente, sarebbe di certo improponibile, oltre che inutile, la lettura di un canto del Paradiso o de “La pioggia nel pineto”.
Può bastare anche una terzina dantesca, una strofa di Leopardi, un brano di Verga o Pirandello, un “osso” di Montale: un testo breve consentirà al maturando di esprimersi al meglio, dimostrando di averne compreso il senso, di saperlo contestualizzare, di stabilire collegamenti con altri testi dello stesso o di altri autori, per coglierne analogie o differenze, o anche con altre discipline. E la commissione avrà tutti gli elementi per tastare conoscenze, abilità e competenze.
E’ innegabile che, anche nel passato, era possibile sottoporre al candidato la lettura e l’analisi di un brano oggetto di studio, ma mi sembra altrettanto chiaro che il Ministero abbia voluto, stavolta, con questa esplicita precisazione, ribadire la centralità della nostra lingua nel percorso di studi di tutti gli alunni dei Licei, degli Istituti Professionali e Tecnici e anche – dato da non sottovalutare – l’importanza dell’approccio diretto al testo. Scelta forse dovuta e dettata dalla volontà di sopperire in qualche modo all’eliminazione della prima prova scritta, ma da salutare come condivisibile e positiva se pensiamo che, ormai da molti anni, l’analisi del testo , la cosiddetta Tipologia A, era un diventata la Cenerentola tra le tipologie preferite dai nostri studenti, nonostante il Ministero avesse voluto, a partire dallo scorso anno, ampliare la possibilità di scelta, proponendo un brano in versi e uno in prosa. Basta ricordare che solo il 9 % dei nostri studenti, con percentuali ancora più basse nei Professionali e nei Tecnici (intorno al 6%), si cimentò nell’analisi della poesia di Ungaretti proposta (Il porto sepolto) e poco più dell’11% in quella del brano in prosa (tratto da “Il giorno della civetta” di Sciascia). (I dati si possono leggere negli Esiti degli Esami di stato nella Scuola secondaria di II grado – Anno Scolastico 2018/2019, pubblicati dal MIUR nel mese di aprile).
La scelta del Ministero non è perciò da considerare scontata, soprattutto se si considera che nella nostra scuola vanno ormai per la maggiore libri di testo pensati e scritti più per i conoscitori, per gli specialisti della disciplina, per i docenti più che per gli studenti. Quante parole, quante pagine, quanti paragrafi e capitoli su di un autore, con un linguaggio tecnico spesso astruso, ripetitivo, stancante, con il desolante risultato che, in questo modo, non solo non si riesce a suscitare curiosità e interesse per la disciplina, ma molte volte si rischia un vero e proprio rigetto!
Come non condividere , a tal proposito, l’interessante e sempre attuale riflessione di Italo Calvino , tratte dal saggio “Perché leggere i classici” ( ed. Oscar Mondadori, pag. 8): “… non si raccomanderà mai abbastanza la lettura diretta dei testi originali scansando il più possibile bibliografia critica, commenti, interpretazioni. La scuola e l’università dovrebbero servire a far capire che nessun libro che parla d’un libro dice di più del libro in questione; invece fanno di tutto per far credere il contrario. C’è un capovolgimento di valori molto diffuso per cui l’introduzione, l’apparato critico, la bibliografia vengono usati come una cortina fumogena per nascondere quel che il testo ha da dire e che può dire solo se lo si lascia parlare senza intermediari che pretendano di saperne più di lui”?
Giuseppe Scafuro
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