C’era una volta..
Sì, una volta, tanto tempo fa. L’insegnante svolgeva il suo imprescindibile e fondamentale lavoro (più di un lavoro, quasi un ministero) durante la ore del mattino (18 ore alla settimana), in serafica pace e spontaneo trasporto (più o meno).
Poi, giunto casa, dopo un po’ di riposo, si concentrava sulle lezioni del giorno successivo e, fatto questo, incominciava o riprendeva a preparare i compiti, analizzare le verifiche, a controllare quaderni. Di quando in quando, però, era impegnato anche durante il pomeriggio, per numerati consigli di classe e limitati collegi docenti. Tutto qui.
Misera la paga, sufficiente per vivere dignitosamente (almeno da soli , ma, ammettiamolo, godeva di una certa libertà per arrotondare (se voleva) il misurato stipendio.
Ma questa è storia! Certo, ormai è storia.
A partire dagli anni ‘70, i famosi ‘decreti delegati’ hanno incominciato a dare qualche compito in più al docente (più incontri pomeridiani) e, soprattutto, a inserirlo in un contesto relazione (le famiglie, le rappresentanze sociali e i Presidi) spesso assai complicato.
Ma questo era ancora nulla. Dal ‘93 in avanti, fino ad oggi, una raffica interminabile e frenetica (e non ancora terminata) di interventi legislativi, hanno ‘incastrato’ il povero insegnante in un susseguirsi di attività (potrei dire di ogni genere ma, spesso, non del tutto attinenti con l’insegnamento, almeno quello tradizionale) senza fine, costringendolo quasi a mettere in secondo piano la sua professione di docente di una determinata materia e a sacrificarsi fino a tarda ora (compresi il sabato e la domenica) per evadere le innumerevoli incombenze (spesso burocratiche) quasi impostegli dal legislatore. Il tutto per qualche spicciolo in più (confidando sul buon cuore dell’insegnante).
Solo così si può spiegare l’indagine dell’ Osservatorio conti pubblici italiani sulle ore lavorative non riconosciute contrattualmente ai docenti e la ‘lacerante’ scoperta del 2022 (ma già si sapeva) del Movimento Docenti, che ha analizzato lo stipendio dei docenti e il lavoro sommerso (e non pagato), arrivando a conclusioni tragiche (direi fantozziane). Si parla di un monte ore annuo di lavoro per i docenti tra 1630 e 2000, a stipendi sostanzialmente fermi.
In fondo, qualcosa di simile si poteva prevedere, come era quasi scontata, perché non nuova (almeno per chi ha una certa età), la soluzione proposta dal Movimento Docenti per far emergere in attivo, per gli insegnanti, tutto il loro lavoro in sostanza non retribuito. Quale la soluzione proposta?
Trasformare definitivamente gli insegnanti in impiegati. Orario di 36 ore alla settimana, lavoro solo in ufficio, timbratura del cartellino, diritto alla mensa e, ovviamente, revisione, in positivo, degli stipendi.
Apprezziamo la ricerca e la proposta, ma, invero, la soluzione ventilata non ci appare nuova.
Già in altri momenti storici si era presentata una soluzione analoga, alla fine, però, nulla era cambiato e nulla, penso, cambierà ora. Come mai. Forse perché cambiare l’organizzazione del lavoro di un docente non conviene alla Stato e non è neppure operazione facile. Ma d’altra parte anche il docente potrebbe non apprezzare questa nuova cadenza del lavoro, non solo perché lo renderebbe un ‘semplice’ impiegato (massimo rispetto per gli impiegati), ma anche perché non potrebbe gestire al meglio e in libertà il tempo da dedicare al lavoro e, cosa non da poco, rischierebbe, dopo una faticosa giornata in ‘ufficio’, al rientro (nel tardo pomeriggio) dover ancora svolgere una mole di lavoro non indifferente ed essere costretto a dedicare gran parte della serata (o più) ancora al lavoro. Sempre per una paga mensile di ‘basso’ profilo (euro più euro meno).
Forse, prima di parlare di come ri-organizzare il lavoro dell’insegnante, bisognerebbe (pirandellianamente) capire la sua identità.
Il professore non è, per sua natura, un impiegato amministrativo anche se fa parte dell’Amministrazione statale (e non certo ai livelli alti) e il suo lavoro non si può misurare col cronometro. Del resto non è neppure, giuridicamente, un Professionista. Non esiste un ordine degli Docenti. Si parla genericamente di categoria degli insegnanti, ben diversa da quella dei Dirigenti scolastici e (grazie ad una legge degli anni ‘80) anche da quella dei Professori Universitari (gratificati da tante opportunità e, non dimentichiamocelo, da uno stipendio ben più elevato e sproporzionato rispetto alla categoria docenti).
Allora chi siamo? Possiamo definirci degli formatori dotati di molta pazienza, molto spirito di sacrificio ed abnegazione, dei volontari, dei missionari, dei filantropi, pronti ad immolarci per ‘causa’
Potremmo creare un Ordine Laico (l’Ordine degli servi dello Stato, che tutto dona e poco chiede). Ma resta, in parte, la domanda sulla nostra identità, soprattutto in questa società liquida e dai valori instabili che ci induce a coprire, con fatica, più ruoli per essere veramente (forse questo siamo) ‘semplici’ educatori (in senso etimologico), capaci di tirar fuori dal giovane ciò che sta dentro di lui non solo offrendogli nozioni e idee, ma stimolandolo al ragionamento.
Lo confesso, forse ho leggermente calcato la mano sulla condizione del ‘magister’ e sulla sua funzione non troppo valutata (non come si dovrebbe). Resta comunque desolante, è un dato oggettivo, la ‘fotografia’ attuale dei docenti e della scuola e non penso possa cambiare, non in breve tempo, non in questo periodo di crisi e di tagli, di mancanza di risorse e di dimensionamenti, di problematiche irrisolte e quasi irrisolvibili che si cercano di superare, girano alcune voci in proposito, con tentativi di privatizzare la scuola e la cultura (questo sembra, a sentire certa propaganda del Potere che vorrebbe una scuola ben aperta ai privati. Sarà vero e sarà questa la soluzione giusta per sciogliere ogni nodo e risolvere ogni problema ?).
Sia ben chiaro, non è solo una questione di soldi (sarebbe assai squallido). E’ la necessità che la società sappia e riconosca profondamente il valore e l’importanza dei docenti per l’istruzione e la formazione dei giovani e (questa è retorica, lo so) per il benessere e lo sviluppo (culturale e spirituale) di tutti.
Ma oltre a dare (e per dare) il giusto valore e il dovuto riconoscimento ai docenti sarebbe opportuno investire nella scuola (nelle strutture scolastiche), nei centri di cultura, nella biblioteche, negli archivi, nei beni culturali, insomma nell’ “humanitas” (discorsi direi assurdi in questa epoca di ‘decadenza’, me ne rendo conto).
Tante sono le sfide che il domani si appresta a porci innanzi. La scuola può essere ed è un’ “arma” (una buona arma) utile e insostituibile per prepararci a sostenerle e (magari) a vincerle.
Nelson Mandela affermava che lo sviluppo di uno Stato si vede dalle condizione in cui versa il sistema carcerario. Aggiungerei anche quello scolastico.
O no?
Andrea Ceriani
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