E come è noto ormai, soprattutto ai diretti interessati, le disposizioni contenute nella legge 214 del 2011 in base alle quali gli anni minimi di contribuzione per ottenere la pensione prima di arrivare all’età massima, fissati in 41 e 3 mesi per le donne e 42 e 3 mesi per gli uomini, sono in contraddizione con quanto stabilisce l’Ue in omaggio al principio di parità. Questo significa che l’Italia è messa in mora se non provvede a equiparare lo squilibrio uomo-donna, garantendo a tutti parità di trattamento.
Tuttavia ora il problema sta nel vedere cosa stabilirà il governo, se cioè si orienterà ad abbassare l’età, per concedere la pensione anche agli uomini, o ad innalzarla alle donne per raggiungere l’equilibrio.
Marialuisa Gnecchi, capogruppo Pd nella commissione Lavoro, si augura che si abbassino i requisiti per gli uomini: “L’esperienza del 2009, quando la Commissione Europea aprì una procedura di infrazione contro l’Italia in difesa delle donne auspicando migliori retribuzioni e migliori pensioni, fu utilizzata dal governo Berlusconi per innalzare l’età della pensione delle donne nella Pubblica amministrazione. Ci auguriamo che questo intervento dell’Unione europea serva a portare anche per gli uomini a 41 gli anni di contribuzione per il pensionamento anticipato e non si trasformi in una ulteriore penalizzazione delle donne”.
Un augurio che però per i lavoratori della scuola, che hanno già deciso di andare in pensione il prossimo 1 settembre, significa poco, anzi fa aumentare l’apprensione per il futuro, mentre, se bene si riflette, questa faccenda, riferita soprattutto al personale femminile della “Quota 96”, ha il solo esclusivo valore dello scherzetto di Halloween, considerato che il dolcetto rischia di allontanarsi.
E infatti, vogliamo ricordare che le lavoratrici di “Quota 96”, dopo due anni di lotte e di promesse, di lusinghe e oblii, si erano rassegnate, in omaggio al frastagliato ingarbuglio della legge Fornero, a ritirarsi dal lavoro al 31 agosto 2014.
Di certo, nelle incertezze forneriane e negli ammiccamenti dei politici ubertosi di promesse per risolvere il caso “Quota 96”, avevano questa sola certezza, almeno: uscirsene, così come la legge garantiva.
La loro domanda a questo punto è: e se l’Italia sotto lo scacco dell’infrazione Ue alzasse ancora di un anno alle donne la soglia per andare in pensione?
Che non è domanda retorica, ma angoscia per il futuro e consapevolezza che in questa Nazione di naviganti e di eroi, a fare i santi martiri sono rimaste solo le donne. Ma non solo, si confermerebbe ancora una volta che nel nostro Paese non c’è alcuna certezza, né di diritto, né di fatto. Appare ancora peggio di quella nave in gran tempesta e ancora più abominevole di quella donna non di provincia.
E appare inoltre crudelmente manifesto che non si possono tenere le persone all’amo per anni, senza concedere loro nemmeno una lieve certezza, che è un diritto perfino delle docenti, femmine; il diritto cullato finora e sul quale hanno contato, sapendo, per giuramento legale di una legge, di potere uscire a 41 anni e 3 mesi di contribuzione.
Come si fa, se malauguratamente si decidesse a innalzare l’età contributiva, a frenare la giusta indignazione di queste donne, condannando molte altre a ben più gravi conseguenze? Come è possibile tenere ancora, a distanza di due mesi, nella incertezza una si variegata platea di persone? Ma chiediamo soprattutto: possibile che non ci si renda conto che i cittadini di questa nostra Repubblica debbano vivere giorno per giorno nelle più assoluta incertezza, senza che nessuno si prenda la briga di dare almeno, nel bene e nel male, un tarì di certo diritto?
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