Sulla bruttissima vicenda del bimbo Manuel, di cinque anni, venuto a mancare a Roma per un incidente stradale causato qualche giorno fa da un’auto guidata a velocità folle da giovani intenti a realizzare delle sfide virtuali, le cosiddette challenge, riceviamo e pubblichiamo una riflessione di Giovanni Cogliandro, dirigente scolastico dell’I.C. Mozart di Roma.
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Fatti inquietanti come quanto accaduto la scorsa settimana a Casal Palocco, dove un bimbo di cinque anni è stato investito ad un’automobile con alla guida un ragazzo intento a filmare dei video no-stop con alcuni suoi amici, ci inducono a riflettere sul senso profondo del nostro essere insegnanti. Aristotele definì l’uomo un animale sociale poiché intrinsecamente capace di unirsi formando gruppi e costruendo delle società.
Essere Scuola oggi significa essere costruttori di socialità, prima ancora che trasmettitori di conoscenza. La capacità di interagire con gli altri, le diverse abilità sociali, sono fondamentali per l’essere umano poiché garantiscono la fioritura della persona in contesti di comunicazione vera e attenta all’altro, oltre che alla propria sopravvivenza e alla propria crescita interiore.
Oggi i nostri studenti sembrano – già a partire dai dieci anni, all’inizio del secondo ciclo d’istruzione – essere vittime di un profondo squilibrio tra un apparato cognitivo iper potenziato dai tanti strumenti del metaverso e dell’AI e una sensibilità al contempo squilibrata e destrutturata per quanto concerne l’interazione con il mondo fisico anche elementare e i bisogni affettivi.
Alcuni nostri studenti arrivano a scuola con i mandarini già sbucciati dai genitori, me lo ha riferito anche oggi una docente che ha concluso il suo anno di prova: è un gesto dolce, che manifesta cura e affetto, tipico di alcune famiglie.
Ho riflettuto su questa frutta resa accessibile da madri e padri che manifestano così il loro affetto con tenerezza, cercando di limitare gli stimoli di fatica anche più basilari dei loro figli, offrendo quindi nella metafora di questi mandarini un esempio secondo me ostensivo e illuminante insieme di quanto le sfide virtuali, le challenge come quella che ha causato la morte del piccolo Manuel e una grande ondata su commozione via social e nella concretezza di quante fiori e pupazzetti sono stati lasciati in via di Macchia Saponara, a poche centinaia di metri dalla scuola che dirigo.
I ragazzi di Casal Palocco, gli youtuber che hanno causato la morte del piccolo Manuel, sono carnefici e vittime di loro stessi, oltre ad avere indiscutibili gravissime responsabilità morali, per avere causato questa morte insensata, per un clima di sfida continua. Giovani protesi nell’inseguimento di un mito di supremazia e di invincibilità, connotato frequente delle loro sfide, perché probabilmente di fatto lasciati soli anche durante la loro permanenza a casa. Questa l’assurdità tremenda tuffo di un abisso di solitudine da cui si generano le challenge, sfide autoimposte che hanno fruttato loro così tanti soldi da potersi permettere una vita di lussi ed eccessi a meno di vent’anni.
Tutto ciò non deve solo indurci ad autobiasimarci come adulti, genitori e insegnanti. Deve invece essere occasione perché si possa trarre spunto da questa tragedia non solo per un nuovo girardiano capro espiatorio, ma per pensare che sia possibile perseguire a Scuola un percorso di intersezione tra insegnamento, narrazione ed esperienza, allo scopo di trovare punti di incontro tra i trascendentali pulchrum, bonum e iustum, bello, buono, giusto, pensando e descrivendo la bellezza come un anelito e un bisogno primario di ciascun essere umano, una bellezza che si trova negli sguardi, nelle parole, negli affetti delle persone reali, corpi pulsanti che questa iperfetazione di challenge virtuali, a volte troppo sdoganate da politiche scolastiche volte solo alla digitalizzazione, al BYOD e alle LIM, che certamente aiutano la didattica dei docenti, ma che di fatto legittimano una desocializzazione tra sguardi e volti in modi che a mio avviso sono enormemente ingiusti e immorali.
La Scuola è stata sempre percepita come lo specchio della comunità che la generava. Questo valeva già per la prima scuola istituita di cui si abbia notizia, la confraternita dei pitagorici, il cui scopo era l’iniziazione dei giovani a un bios theoretikos, inteso come stile di vita capace di elevarsi al di sopra del mero perseguimento dell’utile, come è stato ben rilevato da Platone e Aristotele.
La costruzione armonica di una città parte oggi, più che in passato, da un nuovo modo di pensare la Scuola, espressione delle prime esperienze di vita sociale e comunitaria da parte di piccoli uomini e donne che sono adulti in fieri e si stanno formando in quanto tali.
Il legame comunitario che si struttura a scuola va ad affiancare quello degli affetti e delle empatie familiari. Gli alunni percepiscono il rapporto tra di loro e con i loro docenti sin dalla scuola primaria come una progressiva crescita comunitaria, un’educazione alla cittadinanza che aspira e tende ad essere educazione all’armonia.
Ritengo che un tale legame sempre in evoluzione riesca al meglio ad essere impostato ed espresso nella modalità della percezione comunitaria delle varie forme di bellezza che si possono presentare, figurativa, musicale, teatrale, dialogica, una bellezza che va di pari passo con la fiducia più che con la percezione dell’autorità, neutralizzando il consueto e tradizionale paternalismo dell’istituzione scolastica a favore di un rapporto fondato più sull’empatia che sul timore, e quindi su un rispetto basato sulla meraviglia, che non è rispetto di una gerarchia, ma di un volto e di una persona.
Il cyberbullismo è più aggressivo del bullismo concreto perché – come nella guerra a distanza – il bullo non vede l’effetto della violenza da lui agita, non vede la sofferenza che infligge in tutto il suo concreto dispiegarsi.
Solo un rinnovato thaumazein scolastico, la continua scoperta della meraviglia per questi legami ci potrà salvare da queste challenge sfide false, sterili e mortifere, sempre più estreme che, come la foga di accumulo di ricchezza e di like, esprimono solo un’abissale solitudine.
Giovanni Cogliandro, dirigente scolastico dell’I.C. Mozart di Roma.