L’estate del 2024 rappresenta un tragico punto di rottura per il sistema carcerario italiano. Con 72 suicidi avvenuti in pochi mesi, è diventato evidente che le condizioni di vita dei detenuti sono al limite della sostenibilità e, non a caso, in questa estate, le rivolte nei penitenziari hanno coinvolto sia le strutture per adulti che quelle minorili, evidenziando una generalizzata situazione critica. Le Rivolte nei Carceri Minorili: Il Caso di Torino.
Tra gli episodi più emblematici, la rivolta all’Istituto Penale Minorile di Torino ha colpito per la sua simbologia e per la rabbia che ha generato. In un gesto disperato e di protesta, alcuni giovani detenuti hanno appiccato un rogo, utilizzando i libri della biblioteca dell’istituto per dare fuoco ai locali del penitenziario. Questo atto, evidenzia una decisa frattura con l’obiettivo educativo del carcere, in quanto i ragazzi vedono il carcere come luogo di oppressione senza vie d’uscita. Il rogo dei libri è più di un semplice atto vandalico: rappresenta la distruzione di ciò che la società e l’istituzione carceraria propongono come mezzo di riscatto. La biblioteca, luogo di cultura e crescita, diventa il bersaglio di una rabbia che nasce dal sentirsi abbandonati, privati di un vero futuro. Questo episodio ci obbliga a riflettere sulle attuali politiche carcerarie e sugli obiettivi di rieducazione e reinserimento sociale. Giovani Adulti in Rivolta a San Vittore: Un Segnale di Rottura. Un altro episodio significativo si è verificato nel carcere di San Vittore a Milano, dove due giovani detenuti hanno dato fuoco per protesta a un materasso e il giovane di 18 anni è morto. La cronaca riporta che durante tale episodio, sulla lavagna di una classe è comparsa una scritta enigmatica: “1+1=3”, evidente segnale di ribellione, sfida aperta all’istituzione carceraria e alla scuola, percepite come punitive e inefficaci, perché la detenzione, anziché fornire strumenti per un riscatto sociale, trascina i giovani detenuti in un contesto di alienazione che scatena conflitto. Il Fallimento delle Politiche di Inasprimento delle Pene. La crisi del sistema penitenziario non si limita solo agli episodi di rivolta e suicidio, ma tocca il cuore delle recenti scelte legislative.
Il governo, infatti, ha approvato un inasprimento delle pene, in particolare per i giovani adulti, e il decreto legge Caivano “Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”, a sei mesi dalla sua entrata in vigore, ha aumentato del 10% l’ingresso dei minorenni in carcere i quali, invece di intraprendere percorsi di recupero o essere gestiti con pene alternative, finiscono negli istituti penitenziari. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: istituti sovraffollati e giovanissimi detenuti gestiti con dosi massicce di psicofarmaci, così, anziché assistere a un miglioramento della sicurezza o della situazione sociale, si sono moltiplicate le rivolte e i segnali di malcontento. Questi dati dimostrano l’inefficacia delle politiche repressive e l’idea che pene più dure possano servire da deterrente per la criminalità giovanile si è rivelata infondata perché, al contrario, si sono esacerbate le tensioni, radicalizzando i giovani detenuti, sempre più oppressi e privati di prospettive future. Il carcere, da strumento di riabilitazione, si trasforma in un ambiente di isolamento e ribellione, allontanando ulteriormente questi ragazzi dalla società. Sovraffollamento: Una Crisi Cronica. A peggiorare la situazione è il sovraffollamento delle carceri, un problema che affligge il sistema penitenziario italiano da anni, condizione che rende impossibile attuare programmi di rieducazione efficaci e contribuisce ad aumentare il rischio di violenze e tensioni interne, come dimostrano le recenti rivolte. La Necessità di un Cambiamento Radicale.
Gli episodi di violenza, i suicidi e le rivolte all’interno delle carceri italiane dimostrano in maniera chiara l’insostenibilità dell’attuale sistema di inasprimento delle pene che sta contribuendo ad aggravare la crisi e il carcere, così come è concepito, non sta adempiendo al suo ruolo di rieducazione e reinserimento sociale, perché invece di promuovere un percorso di recupero, alimenta un ciclo di violenza e ribellione. In questo contesto, è essenziale ripensare le politiche penali, investendo in misure alternative alla detenzione, soprattutto per i giovani, garantendo condizioni di vita dignitose all’interno degli istituti penitenziari.
Occorre un cambiamento di paradigma: passare, attraverso un rinnovamento profondo delle politiche carcerarie e penali, da un approccio punitivo a uno riabilitativo, che metta al centro la persona, le sue potenzialità e il suo diritto a un futuro diverso.
In conclusione, il drammatico aumento dei suicidi, le rivolte e il sovraffollamento sono segnali di un fallimento sistemico. È, dunque, il momento di un cambiamento radicale, che metta al centro la dignità umana e la speranza di un reinserimento sociale effettivo. Per tali motivi il CESP, in accordo con il Salone Internazionale del Libro di Torino, sta entrando nel merito di pacchetti educativi e percorsi di lettura da portare all’interno dei penitenziari attraverso la Rete delle scuole ristrette, per offrire la possibilità a tutti i detenuti e le detenute di diventare protagonisti del proprio riscatto sociale.
Anna Grazia Stammati – Presidente CESP
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