Nell’ultimo articolo, scritto per Tecnica della Scuola, sulla Medicalizzazione del disagio scolastico segnalavo la presenza sempre più rilevante nelle scuole, di adolescenti e pre-adolescenti con “disturbi” nell’apprendimento, un fenomeno preoccupante dal punto di vista educativo, sul quale il CESP, il centro culturale e sociale dei COBAS, dal 2018 ha aperto un’importante riflessione che ha portato l’associazione a svolgere seminari di approfondimento sulla tematica, il che ha permesso un confronto ampio con la categoria in tante città. Hanno partecipato ai seminari, pedagogisti, psicoterapeuti, psichiatri, avvocati esperti in diritto psichiatrico, docenti e tutti hanno preso atto della trasformazione delle modalità di apprendimento, del crescente disagio sociale e della deriva che sta conducendo la scuola all’adozione di misure di controllo terapeutico delle difficoltà dei giovani, con il rischio, nel quale la scuola spesso incorre, di leggere i comportamenti degli studenti e delle studentesse con la lente deformante della diagnosi clinica, trasformando dirigenti e docenti in agenti di controllo per l’adattamento “alla norma e alla salute”.
Quanto accaduto – e di cui ha scritto anche TdS – allo studente diciottenne di Fano, sottoposto di forza ad un trattamento sanitario obbligatorio (TSO) per essersi rifiutato di indossare la mascherina in classe, è l’esemplificazione di questa tendenza (che travalica la scuola e diviene marchio sociale) che interpreta ogni atteggiamento divergente come atto patologico da controllare e reprimere attraverso la coercizione fisica e non come manifestazione di una diversità da comprendere. Ma la vicenda rivela anche il permanere in Italia di una “questione psichiatrica” che si ripropone ogni volta in cui qualcuno, di fronte al manifestarsi di un pensiero “altro”, si sente autorizzato ad alzare nuovamente quel muro che separa il pensiero del singolo da quello degli altri, per evitare “pericolose” contaminazioni, attraverso quel residuo manicomiale costituito dal TSO. Per questi motivi il CESP, su invito della Società Gruppo-AntropoAnalitica Italiana (SGAI) ha avviato , insieme al gruppo SGAI, un dialogo da riportare all’interno della scuola, per il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze come occasione di sviluppo della propria ed altrui identità. I temi che si stanno trattando e che potranno essere integrati nel procedere del confronto tra CESP, COBAS, SGAI, Telefono Viola, sono quelli che appaiono emergere in questa fase storica:
a) la dispersione scolastica, nelle sue radici didattiche, relazionali e socio culturali;
b) la medicalizzazione del disagio psico-relazionale;
c) la Didattica a Distanza, come problema motivato dalla pandemia;
d) l’attiva e corretta relazione con le famiglie.
Dal confronto iniziato emergono problematiche interessanti e “cogenti” relative all’insegnamento come una professione “impossibile”, una professione, cioè, che non può essere definita semplicemente tramite un approccio tecnico o normativo, perché ha come destinatari individui, soggettività che implicano una relazione che ha bisogno di senso e tale senso non può essere ottenuto attraverso la tecnologia e la DaD, che possono fornire nozioni, ma non relazioni; al rapporto intercorrente tra Informazione, Relazione e utilizzo gruppale dell’informazione ricevuta, elemento che deve sempre essere tenuto in debito conto nella relazione educativa; le profonde trasformazioni della funzione docente dovute alla rivoluzione tecnologica, che ha minato alla base una professione che stenta a ritrovare quell’autorevolezza che l’ha caratterizzata in passato; l’uso della tecnologia nella generazione dei millennials, che in realtà ha un rapporto esclusivo con i social e i giochi play station, ma non sa utilizzarla come fonte di apprendimento, con evidenti ricadute psico-relazionali, il che implicherebbe, da parte dei docenti, un approccio che problematicizzi il cambiamento e non lo stigmatizzi; le conseguenze dell’improvvisa accelerazione impressa dalla pandemia all’uso della tecnologia, che ha provocato diseguaglianze e dislivelli nell’apprendimento, cosa di fronte alla quale ogni scuola ha reagito diversamente pur raggiungendo, seppur con tempi diversi, la diffusa certezza che la Dad non è uno strumento didattico adeguato, che rivela le profonde differenze nell’approccio alla didattica digitale nelle diverse fasi evolutive dell’apprendimento e della necessaria riflessione sulle ricadute di questa nelle varie fasce d’età.
Su questi temi le associazioni hanno deciso di continuare gli incontri, per farne materia di progettazione ed esecuzione di percorsi di aggiornamento e formativi, finalizzati a successivi seminari/convegni con appuntamenti settimanali da svolgere in più città e territori, nel tentativo anche di comprendere cosa rimane oltre l’istituzione psichiatrica nella società (e nella scuola), di quelle disposizioni, correlazioni e reti di “potere” che autorizzano la gestione dell’individuo.
Anna Grazia Stammati presidente del CESP e del Telefono Viola
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