Nonostante l’interruzione delle attività per il COVID-19, il CESP ha continuato a svolgere una buona attività seminariale e svariati incontri in videoconferenza su tematiche equamente distribuite tra quelle relative ai Laboratori scuola-società (Scuola in carcere, Medicalizzazione del disagio scolastico, Conflitti di genere e violenza sulle donne, Omofobia, Immigrazione, Ambiente) e quelle di politica scolastica (Libertà di insegnamento, Meritocrazia, Regionalizzazione, Materia Alternativa all’IRC, Scuola in sicurezza, Inclusione scolastica). Di alcuni dei Laboratori abbiamo già dato notizia in precedenti articoli su Tecnica della Scuola, di altri, come quello sulla Medicalizzazione del disagio scolastico, parliamo ora.
La moltiplicazione dei BES (Bisogni Educativi Speciali)
L’interesse per tale questione è emersa per la presenza sempre più rilevante di adolescenti e pre-adolescenti con nuovi “bisogni educativi” per i quali si è resa necessaria una riorganizzazione educativa, sociale, familiare ed economica. La legge 170 del 2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” e la Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012,“Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”, hanno aperto un nuovo capitolo all’interno della scuola e sancito la nascita di un nuovo tipo di soggetto. E, in parte per una maggiore capacità di individuare i “disturbi”, in parte come perversa moltiplicazione di categorie diagnostiche, si è manifestato un aumento esponenziale di studenti e studentesse con BES, divisi, oltre quelli inseriti nella L 104/77 , in DSA e ADHD. Confrontando i dati riportati dal Ministero dell’istruzione nel Repertorio sulla dislessia del 2016/2017 e del 2018/2019, questi quasi raddoppiano, passando in due anni dal 2,9% degli studenti (frequentanti le scuole di ogni ordine e grado) al 4,9%. Proprio per approfondire i contorni di un fenomeno preoccupante dal punto di vista educativo, il CESP, nel 2018, ha svolto un corso di due mesi a Roma (a cui hanno fatto seguito numerosi convegni a livello nazionale), nel quale sono stati evidenziati i rischi della trasformazione delle difficoltà di apprendimento e del disagio sociale in misure di controllo terapeutico, con la conseguente divisione della popolazione scolastica in categorie clinico-diagnostiche, BES (bisogni educativi speciali) e DSA (disturbi specifici dell’apprendimento). I risultati dei seminari hanno messo in evidenza come gli stessi insegnanti rischino di leggere i comportamenti degli studenti e delle studentesse con la lente deformante della diagnosi clinica mettendo l’accento sui sintomi, le incapacità e i problemi, senza vedere le potenzialità, le capacità e gli interessi degli alunni, abdicando così al proprio ruolo, in nome di una delegaad un “esperto” ed etichettando difficoltà che dovrebbero essere gestite pedagogicamente.
Evitare la colonizzazione da parte delle visioni clinico-diagnostiche
Ma dopo aver posto il problema nei numerosi seminari svolti, è tempo ora di affrontare le difficoltà di praticare, da parte degli insegnanti, ricerca e formazione in senso autonomo, assumendo pienamente la responsabilità educativa che ci appartiene, perché solo se i docenti riusciranno a difendere il proprio ruolo attivo potranno rifiutare di essere colonizzati da una visione clinico-terapeutica, in cui diventano semplici agenti di controllo, adattandosi a quella che viene considerata la norma e la salute. Proprio in una fase segnata dalla pandemia del COVID-19, in cui le nuove tecnologie stanno producendo una trasformazione vistosa dell’attività attentiva e riflessiva, il ruolo dell’insegnante (che si vorrebbe trasformare in un semplice facilitatore culturale) diventa fondamentale, perché, oltre ad imparare e gestire a sua volta le nuove tecnologie, deve riuscire ad educare gli alunni/e ad una utilizzazione critica dei nuovi strumenti. Poiché la scuola costituisce un organo fondamentale per la formazione delle future generazioni, tanto da poterne fare strumento che plasma gli individui, inducendo anche controllo sociale e disciplinamento, dobbiamo essere consapevoli che la medicalizzazione del disagio sociale può provocare una subordinazione culturale e psicologica e come CESP occorre non indulgere nei confronti degli organi di governo che hanno innescato tale trasformazione, seppure senza avallare atteggiamenti passivi di parte della categoria.
No alla subalternità docente a psicologi e neuropsichiatri
È necessario aiutare i docenti a comprendere che si sta cercando di deprivarli della loro identità professionale e di renderli subalterni a psicologi e neuropsichiatri, mentre l’insegnante deve essere l’attore consapevole del processo di apprendimento dei propri studenti, permettendo l’accesso ai saperi e alle conoscenze dei giovani a lui/lei affidati. Bisogna indurre un cambio di passo nell’approccio educativo, per impedire che la scuola trasformi le differenze in diseguaglianze e che risposte mediche e clinico-terapeutiche a problematiche di ordine sociale prevalgano sui presupposti pedagogici del fare scuola, il cui compito è formare cittadini critici e consapevoli, soggetti attivi della comunità e del suo funzionamento democratico
Anna Grazia Stammatipresidente CESP (Centro Studi Scuola pubblica)
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