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CESP-COBAS: la scuola in carcere prima della pandemia, con il virus e oltre il virus

Il CESP-Centro Studi Scuola pubblica, l’associazione fondata dai COBAS scuola nel 1999 come struttura culturale e sociale dell’organizzazione, è attivo nelle carceri sin dalla sua fondazione e si occupa da allora della centralità dell’istruzione e della cultura nell’esecuzione penale, quale diritto di partecipazione dei detenuti alla vita culturale e sociale della comunità.

Proprio a partire da questo assunto, è stata costituita la Rete delle scuole ristrette, comprendente i docenti del primo e del secondo livello di istruzione nelle carceri, distribuiti sull’intero arco nazionale, i quali in questi anni si sono battuti per estendere e ampliare l’istruzione negli istituti penitenziari, a partire dall’analisi dello stretto legame tra detenzione e basso livello di scolarizzazione medio. Se si considera che tra gli adolescenti c’è un tasso di abbandono scolastico di circa il 18%, si capisce perché in carcere le classi più affollate dell’istruzione superiore sono le prime due classi del biennio, costituite da studenti “ristretti” che da liberi non hanno frequentato o completato gli studi nei primi due anni delle superiori.

La platea dei detenuti che frequentano i corsi è ampia, anche se ancora molti sono coloro che ne rimangono esclusi: nel 2018 (ultimi dati disponibili) si sono iscritti ai corsi 20.357 persone detenute, oltre 2.000 in più rispetto all’anno precedente, e il 34,64% dei presenti in carcere. In pratica, un terzo della popolazione detenuta risulta iscritta a corsi scolastici. Ma non è stato sempre così: per raggiungere questi risultati (spesso dovuti solo alla ferma determinazione dei docenti della Rete) ci sono voluti anni di impegno che, però, di fronte alla pandemia si sono rarefatti.

Mentre all’esterno, nella prima fase della chiusura totale, la scuola si riorganizzava con la Didattica a distanza, i contatti con gli studenti “ristretti” sono stati quasi totalmente recisi. Così, mentre si cercava di interessare alla problematica i vertici delle istituzioni, Il CESP-Rete delle scuole ristrette ha avviato un monitoraggio tra le scuole di riferimento della Rete, analizzando gli elementi problematici per la ripresa delle attività trattamentali in carcere (istruzione, cultura, volontariato) e il ruolo delle nuove tecnologie nell’esecuzione penale, alla luce dei profondi cambiamenti intervenuti durante l’emergenza sanitaria. L’estate non ha costituito, però, un lasso di tempo sufficiente perché le amministrazioni Istruzione e Giustizi, risolvessero i problemi evidenziati e così, dopo circa due mesi e mezzo dalla ripresa delle attività didattiche nel nuovo anno scolastico, il virus ha dimostrato di essere ancora dirompente e le lezioni sono state nuovamente interrotte, anche se con tempistiche e modalità diverse. È maturata così l’esigenza di monitorare nuovamente lo stato della scuola in carcere ed è nata una proficua collaborazione tra Antigone e CESP-Rete delle scuole ristrette, che ha permesso di ripresentare insieme il questionario con il quale si è fotografata la situazione dell’istruzione in carcere a gennaio 2021. Dal quadro emerso risulta che a questa data la scuola in presenza in carcere si svolge solo in poco più della metà degli istituti, ma in quella metà in cui non si è rientrati in presenza, circa il 72% delle scuole non svolge didattica asincrona, mentre solo il 28% fa ricorso all’invio di materiale cartaceo, distribuito, nel 68% circa dei casi, dall’istituto penitenziario.

Quello che preoccupa leggendo i dati, sono in particolare due cose:

a) nel caso di svolgimento della didattica asincrona, non ci sono feedback con gli studenti;

b) gli studenti coinvolti nella didattica in presenza sono meno di un quarto.

Ne ricaviamo un quadro inquietante per la garanzia del diritto allo studio e alla conoscenza, perché se nel 51% delle scuole che svolgono didattica in presenza la frequenza è garantita solo ad un quarto degli studenti iscritti e se nella metà delle scuole che svolgono didattica a distanza, solo il 28% fa ricorso all’invio di materiale cartaceo o a video lezioni registrate, e senza alcun feedback con gli studenti, ne risulta che su circa 20.000 detenuti solo 3000 ricevono istruzione, meno di un sesto degli iscritti. Sui dati emersi il CESP-Rete delle scuole ristrette ha già predisposto un piano per presentare all’Amministrazione le misure ritenute necessarie dai docenti della Rete delle scuole ristrette per risolvere questioni che l’urgenza, dettata da una pandemia di cui nessuno può conoscere la durata, rende improrogabili per una ripresa completa delle attività.

Anna Grazia Stammati presidente CESP – Centro Studi Scuola pubblica

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