Dall’ultimo sondaggio condotto da Skuola.net pare che le chat scolastiche siano non solo usate ma anche gradite dai ragazzi: tra medie e superiori 6 studenti su 10 “messaggiano” con i loro prof, almeno con uno di loro. In 8 casi su 10 ci sono più chat di classe, una per ogni docente/materia. E cosa più importante: appena 1 studente su 10 approverebbe un eventuale “divieto” di intraprendere chat tra alunni e professori. Perché? Perché le chat sono didatticamente utili e facilitano i processi di apprendimento.
Gli studenti intervistati chiariscono infatti che l’uso delle chat fatto dai docenti è professionale. “I professori – si legge nel comunicato di Skuola.net – sembrano usare le conversazioni social quasi esclusivamente per esigenze strettamente legate alla vita scolastica: il più delle volte all’interno dei messaggi gli studenti trovano avvisi su lezioni e compiti, molto gettonato pure lo scambio di materiali didattici, ma la chat viene spesso trasformata anche in una sorta di help-line con cui i docenti provano ad aiutare i ragazzi quando hanno dubbi o difficoltà sui programmi”.
Un argomento che abbiamo più volte trattato anche nell’ambito della nostra rivista online.
Di recente, ad esempio, il nostro direttore, Alessandro Giuliani, ha intervistato sul tema Mario Rusconi, presidente dell’Associazione nazionale presidi di Roma: “Una mamma chiede al docente di suo figlio, nella chat di classe, perché ha spostato il ragazzo di banco. Un padre perché la classe della figlia è arrivata alla perifrastica attiva mentre nella scuola del figlio dell’amico sono giunti alla perifrastica passiva. Queste sono intromissioni inammissibili ed è ora che le scuole regolamentino l’uso dei social media attraverso il Collegio dei docenti e il Consiglio d’istituto”.
Insomma, ok alle chat, ma servono più regole. Nel contempo, sempre Mario Rusconi chiarisce a chi spetta darle, queste regole: “La regolamentazione non può venire dall’alto: ricordo quello che avvenne nel 1995 con la Carta dei servizi scolastici, fu approvato un Dpcm che dava l’impronta generale, ma poi ogni singola scuola ha declinato il tutto con propri regolamenti”.
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