I lettori ci scrivono

Chatto, quindi sono…

E’ in atto l’impero della tecnologia: e d’imperio la Rex cogitans, la Techne, ne fa da tronista! Ergo, Cartesio alla deriva: uno strazio per la Ratio.

E’ la denuncia di un classicista e di un cronista, basito dallo sguardo della Medusa del presente! L’oralità fa l’exploit con i media: dalla telefonia che vive di toni e suoni all’oralità del cinema, della TV, del computer multimediale, di internet. Una netta riduzione della scrittura che si condensa in SMS, Chat ed E-mail: siamo in una fase di neo-oralità come ai tempi dell’epopea omerica, si potrebbe commentare senza drastici allarmismi. Ma oggi manca proprio la stoffa di un aedo. Nella genia di oggi dov’è il genio? Come pipistrelli bonaventuriani, siamo cechi di bellezze; come la nottola di Minerva di hegeliana memoria t-ardiamo alla consapevolezza senza l’ardore della coscienza infelice; e da internauti esperti di tutto un po’ meccanizziamo come le formiche baconiane.

C’è chi asserisce che siamo passati da uomini monomediali (uomo-libro) ad esseri multimediali (UominiTv/Telefono/Computer/Radio/Libro, et cetera) reincorporando così i riti delle civiltà orali, celebrando dentro gli spazi dell’elettronica il ritorno alle origini. Di fatto, vedendo l’uomo politico che ci parla dalla TV, ci si accorge oggi che la sua forza e autorevolezza stanno sempre di più meno in quello che dice: si tende oggi a concentrarsi di più su come lo dice, su come si presenta, in poche parole sull’immagine di persona (corpo, movimento, indumento) con cui si presenta a noi. Ma si tratta di un’oralità ben diversa, più ricreativa che creativa. La sensazione è che la parola si sia proprio deformata, senza formare, non è in forma, potremmo aggiungere, informando appena, e non ri-formando per come potrebbe e dovrebbe dire e dare. Verbi servili: potere, dovere. Con scelta ellittica lascerei solo “Servili”, alludendo alla condizione sociale cui siamo addivenuti, per sottrazione di diritti e addizione di doveri, dal momento che il pensiero si è fatto visibilmente più debole. E intanto si pensa a contrarre il cursus annorum nel curriculum studiorum: per il cursus honorum la cultura, infatti, è solo un optional. Ecco la radice della nostra vulnerabilità.

Chi non sa, meno ha e men che meno è. La fralezza è l’effetto indesiderato di una conoscenza approssimativa: un cerchio chiuso che non può approssimarsi al prossimo, come potrebbe fare? Oggi, nell’ecosistema del linguaggio, c’è solo una giungla ove non si percepisce l’eco sapiente di un Eco (magari, ne trarremo lezione, in una bustina di Minerva-stile C’è posta e buon posto per noi): c’è unicamente spazio per la lingua di Tarzan e quella di Cita. Chattiamo, nella scuola verbale di scimpanzé postmoderni! Audio, video, disco: regole da TV. L’usura del Bello in coniugazioni postmoderne: a flettersi, al postutto, è un riveduto e scorretto Latinorum nel carrello dei consumatori; un brutto costrutto, decisamente! E, intanto, la scimmia nuda balla, Gabbani docet! La parola, ahimè, è una reliquia strappata all’al di là per finire nell’al di qua di uno zoo darwiniano. Ed il coccodrillo (lo Stato, intendo!) come fa?!Fuori dalle frontiere, una mina esplode con un: Parole, parole, parole. Già, Mina!! Ad un passo da te, o patria!To be continued…

Francesco Polopoli

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