Non appare dunque inutile rileggere le Linee programmatiche del ministro Giannini, esposte in un sintetico documento all’inizio del suo mandato istituzionale, nelle quali pareva cogliersi appunto la priorità della questione precari, nonché la lucida consapevolezza che il mondo dei supplenti è un mondo vario, dominato da una “guerra tra ultimi della lista”: precari e Tfa, docenti in ruolo e supplenti, idonei e inidonei, visibili e invisibili, in un elenco quasi inesauribile di legittime rivendicazioni.
Questo precariato “stabile, ma non stabilizzato” appariva, dunque, una priorità indiscussa della strategia del governo Renzi, nell’ottica di un più generale rilancio dell’istruzione, se la Giannini solo qualche mese fa poteva affermare: “Il Governo di cui faccio parte è il primo, a partire dall’immediato dopoguerra, che ritiene prioritario il tema dell’istruzione nell’agenda politica del Paese”.
Non a caso i precari erano visti come gli eterni ripetenti in continua attesa, una ferita aperta della scuola italiana: “Alcuni aspettano qualche anno, altri un decennio, altri ancora erano precari quando hanno iscritto un figlio alla prima elementare e continuano ad esserlo ancora, quando lo stesso figlio si diploma alla fine del liceo”.
Apparivano chiari gli obiettivi propositivi del Ministro e del Governo tutto a partire dai poco meno 170mila precari inseriti nelle c.d. graduatorie ad esaurimento di I, II, III fascia e IV fascia aggiuntiva, che costituiscono il cosiddetto “precariato storico” e che, sono parole del Ministro, “verosimilmente grazie al turnover saranno immessi in ruolo nei prossimi dieci anni”; poi esistono più di 460mila docenti, inserite nelle graduatorie di istituto e utilizzati per le supplenze annuali e fino al termine delle lezioni, di cui 168mila iscritti nelle graduatorie ad esaurimento; oltre 10mila abilitati a seguito del Tirocinio formativo attivo (Tfa); quasi 70mila che hanno maturato titoli di servizio utili all’abilitazione grazie ad un percorso abilitante speciale (Pas); 55mila diplomati magistrali; 40mila idonei di vecchi concorsi.
Alla luce di questi strabilianti numeri l’obiettivo politico della Giannini era ben definito: “I precari della scuola vanno riassorbiti e in un’ottica di lungo periodo dobbiamo bandire solo concorsi a cattedra”.
E giungiamo a un punto chiave delle linee programmatiche, che sembra però, alla luce delle notizie di questa estate, diventato controverso. La Giannini affermava, innanzitutto, l’importanza del famigerato organico funzionale come deus ex machina per la soluzione di tanti problemi aperti: “L’organico funzionale serve ad affrontare il problema del sostegno e dell’integrazione, assicurando continuità didattica e formazione specifica per le diverse disabilità. Esso si traduce nella creazione di un gruppo professionale qualificato, che, nell’ambito di una rete di scuole, operi dalla formazione dei docenti all’integrazione degli alunni disabili e che non si traduca in un mero aumento quantitativo delle ore di sostegno”.
In questa ottica affermava che era necessario “predisporre un Piano necessariamente di medio termine per il reintegro dei precari e il loro inserimento all’interno di ‘organici funzionali’, che permettano ai dirigenti scolastici una miglior gestione delle supplenze e un aumento dell’offerta formativa”.
I precari, perciò, sembravano dover confluire in qualche modo nell’organico funzionale, anche se non era chiaro con quale modalità. Infine faceva capolino la necessità di bilanciare costi e benefici, stringendo i cordoni della borsa: “Sono perfettamente consapevole che percorrere questa strada comporta un significativo impegno finanziario. Ma credo anche che, attraverso una diligence seria sui costi che sosteniamo oggi per le supplenze brevi e l’integrazione degli alunni disabili, potremo arrivare ad un effettivo bilanciamento finanziario rispetto al fabbisogno necessario per l’attuazione dell’organico funzionale di istituto e di rete. L’art. 50 del decreto legge n. 5 del 2012 istituiva l’organico dell’autonomia, adesso servono le risorse finanziarie per dare piena attuazione a questo strumento”.
Insomma l’organico funzionale rientrava nell’originario progetto della Giannini, negli obiettivi del Pd e, ora più che mai, nelle intenzioni del sottosegretario Reggi per il quale non ci sarebbe la voglia di eliminare le supplenze brevi, ma solo la necessità di riformare la scuola, garantendo la stabilizzazione di un maggior numero di docenti.
A conferma di ciò interviene anche Mariangela Bastico con una precisazione: “Con l’organico funzionale si attribuisce alle scuole sulla base di parametri oggettivi, oltre ai docenti riferiti al numero delle classi e al monte ore complessivo, una quota aggiuntiva di docenti finalizzata all’ampliamento dell’offerta formativa, a progetti per ragazzi con disagio, ai corsi di recupero, alle compresenze e anche alle supplenze brevi: una dotazione complessiva di docenti, assegnati per tre anni, che prendono parte attiva alla definizione e realizzazione del Pof e consentono flessibilità e innovazione didattica.
Questa scelta favorisce la stabilizzazione di un numero maggiore di docenti, rispetto a quelli dell’organico di diritto, garantendo continuità didattica e riduzione del precariato”.
Insomma non supplenze di pochi giorni inefficaci, ma un progetto più ampio e più a lunga scadenza. Continua la Bastico: “Credo che obiettivo, anche per gli insegnanti precari, sia giungere ad un organico stabile corrispondente alle esigenze scolastiche, non ampliare la platea di coloro che hanno svolto un’attività scolastica, magari di pochi giorni, aumentando soltanto il numero delle persone in graduatoria, in un’attesa senza fine. Comprendo l’obiezione di chi dice ‘meglio piuttosto che niente’, ma non penso che questo possa essere l’obiettivo verso cui orientare le riforme”.
Forse dunque “organico funzionale” sarà la parola magica per l’assunzione dei precari. Speriamo che coloro che erano supplenti quando i loro figli andavano alle elementari, non entrino di ruolo da nonni…
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