Per capire la distanza incolmabile che separa la nostra scuola, anche a livello di selezione dei dirigenti, dal resto d’Europa, Rosario Drago ha elaborato per l’Adi un interessante confronto con l’imminente concorso dirigenti in Francia. Un confronto da cui la nostra nazione esce malconcia. Nella sorella d’Oltralpe, infatti, il meccanismo di ammissione è strettamente legato alla valutazione, in Italia inesistente, della professione docente. Il reclutamento è in gran parte interno (insegnanti di ogni ordine e grado di scuola) e si svolge annualmente ed esordisce con la comunicazione dei posti “messi a concorso”. La procedura inizia con l’acquisizione (via internet) delle domande degli aspiranti – corredate dal loro curriculum vitae – e la verifica amministrativa dei titoli posseduti. Possono accedere alla selezione per la direzione di 1° livello (Ier classe, i Licei) i professori agregés (da almeno 5 anni), che sono l’aristocrazia degli insegnanti della secondaria. Gli agregés hanno superato un concorso la cui difficoltà è mitica, uno degli punti fermi della grandeur transalpina. Partecipano a questa fase anche coloro che abbiano svolto per 10 anni almeno funzioni direzionali (anche come vice-presidi), per le quali abbiano ottenuto una valutazione positiva da parte de Direttore regionale (Recteur d’ Accademie). Questi colleghi sono inseriti in una liste d’aptitude , una specie di albo degli abilitati, e comunque debbono percorrere tutto l’iter selettivo. Negli ultimi concorsi non hanno superato l’8% dei vincitori.
Come si può notare si parla (orrore per la scuola italiana!) di aristocrazia degli insegnanti. Poi non entrano in scena una serie di soggetti privati che costituiscono lobbies allo scopo di lucrare sul concorso stessom deella formazione degli aspiranti si occupa un centro pubblico denominato Cned (Centre national d’enseignement à distance, nato nel 1939), il quale offre una serie di corsi on-line per l a preparazione del concorso. L’agenzia, specializzata in formazione continua, è articolata in otto sedi regionali e “fattura” annualmente 55 milioni di euro (!); ha alle sue dipendenze 300 formatori professionali, intrattiene più di un milione di contatti e 220 mila “clienti”, di cui 14.000 per il concorso a preside.
Ma in Francia il concorso si svolge ogni anno, diversamente dall’Italia, dove ci sono tempi giurassici, e a questo servizio, l’aspirante si iscrive in qualsiasi momento a seconda dei bisogni e con un versamento di soli 300 euro.
Quando si giunge poi alla prove scritte la differenza si fa abissale. Innanzitutto la prova scritta è unica e si chiama prova di “ammissibilità”. Non due, ma una sola prova, dunque,e, cosa più importante, è formulata a livello centrale , non dalle singole regioni, e si svolge in un’unica data. Durante lo svolgimento non è consentito l’uso di nessuno strumento di consultazione (basta il dossier che accompagna la descrizione del caso).
Poi, mentre il bando italiano presuppone un futuro preside dalle conoscenze enciclopediche, almeno sulla carta, il programma della prova francese è essenziale: “Conoscenza del sistema educativo di secondo grado: finalità, organizzazione, condizioni di efficacia e difficoltà, funzionamento interno e sviluppo”.
Inoltre è precisata esattamente la descrizione della prova che consiste nella studio di caso illustrato da un dossier . Quando andiamo alla durata e pensiamo alle otto lunghe ore che aspettano i malcapitati docenti italiani, scopriamo che in Francia la durata è di 4 ore che servono in gran parte per leggere tutto il dossier; mentre viene stabilita, onde evitare discrezionalità nella valutazione, che la lunghezza dello svolgimento sia massimo di due pagine, semplicemente un caso concreto relativo al sistema educativo della scuola secondaria, a livello locale, regionale e nazionale, che si conclude con una serie di proposte.
La prova , dunque, consente alla Commissione – scrive il Direttore generale – di verificare se il candidato possiede le basi che gli permettano di accedere alla nuova funzione, che richiede conoscenze e competenze specifiche – alcune delle quali saranno sviluppate durante la formazione e nell’esercizio del mestiere – relativamente ad un minimo di prerequisiti.
Per quanto riguarda la prova orale siamo ben lungi dalla genericità del bando italiano, dove si parla di 45 minuti con spunti tratti dalle prove scritte. La prova orale in Francia si svolge in due parti: nella prima parte (15′) il candidato (che ha già presentato un dettagliato curriculum vitae – in realtà un portfolio – di tre pagine dattiloscritte sulla base di un format proposto dall’amministrazione) illustra la sua attività professionale e sottolinea le sue competenze; la seconda parte consiste in 45′ di colloquio con i membri della Commissione. Solitamente la prova orale si apre con un approfondimento del portfolio. La commissione poi è libera di formulare tutte le domande che ritiene utili per apprezzare “le qualità di riflessione, le conoscenze, le attitudini e le motivazioni professionali del candidato, ed anche la sua capacità ad adattarsi ai compiti che possono essere affidati al personale dirigenziale”.
L’obiettivo della Commissione – conclude il Direttore generale – è di apprezzare le qualità di riflessione, le conoscenze, le attitudini e le motivazioni professionali del candidato, ed anche la sua capacità di adattarsi ai vari incarichi che possono essere affidati al personale di direzione.
Infine vengono esplicitati chiaramente, cosa che mai è accaduta e neanche stavolta sta accadendo in Italia, i criteri di valutazione. Che cosa deve conoscere, sapere e saper fare il candidato. E qui vengono fuori doti che mai verrebbero valutate in Italia. Il candidato deve dimostrare alla Commissione: una sufficiente conoscenza dell’istituzione scolastica, che dimostri una seria preparazione, testimonianza di una vera motivazione, una conoscenza non puramente libresca, ma integrata dall’esperienza professionale. Il jury deve apprezzare la capacità del candidato di teorizzare la sua pratica, passata o attuale, e di proiettarne gli insegnamenti nel futuro; la capacità di comprendere le domande, di determinarne le sfide e di ancorare le risposte e le proposte nella realtà, la curiosità intellettuale, la vivacità di spirito e di ribattere; la coerenza e la pertinenza del discorso, il rigore della riflessione fondata su argomentazioni logiche, la capacità di esercitare la critica, fondata ed argomentata, su elementi della discussione o su domande che gli sono rivolte dal jury; il dinamismo, la sincerità e la semplicità; la conoscenza e il rispetto dei valori del servizio pubblico in generale e di quelli della scuola in particolare; la sensazione che gli aspetti di ordine relazionale non imbarazzano il candidato e che saprà utilizzarli per risolvere eventuali difficoltà; il realismo, il pragmatismo e il buon senso, dimostrando intelligenza delle situazioni; inventività e creatività nelle risposte.
In Italia, alle commissioni che stanno per insediarsi nessuno dice che cosa né come debbono valutare i candidati. Ognuno farà di testa sua, come meglio crede.
Infine arriva il momento del corso di formazione. A questa fase finale possono accedere in Francia candidati in numero corrispondente ai posti messi a concorso . Non esistono “idonei” né “riservisti”. Dato che i concorsi si svolgono annualmente non esistono nemmeno posti vacanti per quelli che in Italia si chiamiamo “incarichi di presidenza”, una forma impropria di precariato.
Insomma in Francia si respira tutt’altra aria, anche se non mancano le autocritiche e la sottolineatura del bisogno (in Francia!) di rivedere il meccanismo dei concorsi pubblici.
Certo è che in Italia la selezione dei dirigenti appare oltremodo approssimativa e discrezionale e chi ambisce alla professione dirigente buona parte delle volte non lo fa per attitudine o curiosità intellettuale, ma solo per abbandonare la vita in classe, divenuta insopportabile, e migliorare la propria condizione retributiva.
Forse per questo in Italia possono diventare dirigenti anche docenti che al concorso scrivono la “a” preposizione con l’h…