Chi andrà in pensione nel 2011 penalizzato, ma non troppo…
Tra tagli agli organici, riforme poco entusiasmanti e minacce di blocco degli aumenti automatici, ogni tanto arriva qualche buona notizia: stavolta riguarda tutti coloro (insegnanti e unità di personale Ata, nel 2010 furono oltre 30mila) che a settembre 2011 lasceranno il servizio per la meritata pensione e che non dovranno sottostare alla nuova norma decisa dal Governo di far slittare di un anno (i privati addirittura 18 mesi), la somministrazione del primo assegno pensionistico: ebbene, il provvedimento, che di fatto posticipa di un anno, non si applicherà ai dipendenti della scuola. Che continueranno ad abbandonare il servizio come sempre (il 31 agosto) e a percepire la pensione entro un paio di mesi di tempi ‘tecnici’.
La deroga, l’unica per i dipendenti pubblici, si deve alla necessità di lasciare per il personale della scuola un’unica ‘finestra’ di uscita, in corrispondenza con il termine del vecchio e l’inizio del nuovo anno scolastico. Niente slittamento, quindi, almeno per questo motivo dell’entrata nel regime pensionistico.
E le buone notizie finiscono qui. Da fonti sindacali, confermate dal ministero del Lavoro, anche se con numeri più ridotti, si apprende che saranno diverse migliaia le insegnanti e le unità di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario di sesso femminile a rimanere bloccate, fino a quattro anni, a seguito della `stretta’ sui requisiti per accedere alla pensione: alla prevista introduzione per tutti i dipendenti pubblici, dal 1° gennaio 2011, della quota minima ’96’, derivante da almeno un’età anagrafica di 60 anni e 36 di contributi, introdotte con la riforma Damiano del 2007, le dipendenti del comparto scuola dovranno fare i conti con il diktat imposto da Bruxelles (con la legge n. 102/09) che dal 2012 allineerà – a 65 anni – le pensioni di vecchiaia delle donne a quelle degli uomini. La doppia penalizzazione comporterà la permanenza forzata in servizio di circa 32 mila donne della pubblica amministrazione: considerando che il 48% delle donne dipendenti della Pa appartiene alla scuola (su oltre un milioni di docenti e Ata l’84% sono donne), ne consegue che di queste almeno 15 mila fanno capo proprio al comparto istruzione. Si salveranno dall’ulteriore ‘stretta’ sulle pensioni solo coloro che avranno accumulato almeno 96 anni – tra età anagrafica (minimo 60 anni) e servizio, poi `97′ nel 2013 – e quelle che avranno maturato 40 anni di contributi a prescindere dall’età. Tutte quelle che hanno iniziato a lavorare dopo i 30 anni, e non hanno da riscattare laurea, saranno invece costrette a rimanere in servizio fino al compimento del 65esimo anno.
Numeri alla mano, saranno principalmente le maestre della scuola d’infanzia e della primaria a rimanere bloccate, fino a quattro anni, a seguito della `stretta’: si tratta dei due profili prevalenti tra le 15mila donne che operano nella scuola e che rimarranno coinvolte nell’innalzamento della quota minima (dal 2011 portata a `96′) per l’assegno di anzianità e nell’applicazione della legge n. 102/09, che dal 2012 allineerà le pensioni di vecchiaia delle donne a quelle degli uomini a 65 anni. Nei 10.400 istituti italiani, dove l’età media di docenti e Ata è pari a 53 anni e la presenza delle donne sfiora l’84%, lo sbilanciamento è infatti particolarmente alto nei gradi scolastici più bassi: nella scuola d’infanzia le maestre rappresentano il 99,5% del corpo insegnante, leggermente di meno alle ex elementari, dove rispetto agli uomini rappresentano il 96%.