La Scuola italiana è molto cambiata, nell’ultimo trentennio, anche per impulso di lobby ed organismi internazionali. Di questi cambiamenti traccia un quadro sistematico ed esauriente, nel suo amplissimo ed approfondito trattato “La Scuola distrutta: 30 anni di svalutazione sistematica dell’educazione pubblica e del Paese”, Stefano D’Errico.
In un precedente articolo abbiamo accennato ai “consigli” rivolti all’Unione Europea dalla colossale banca d’affari JP Morgan, in un documento pubblicato il 28 maggio 2013: The Euro area adjustment: about halfway there. Tra questi “consigli”, spiccava quello di sbarazzarsi di costituzioni “troppo socialiste” come quella italiana (che tutela la Scuola quale istituzione e, di conseguenza, difende la libertà d’insegnamento). Chi non dovesse seguire tali “consigli” — dice in sostanza il documento — vedrebbe aumentare le proprie difficoltà economiche. Cambiate la Costituzione, insomma, o saranno guai per voi.
Il bello è che una simile tirata d’orecchi arrivava sei anni fa da una delle società finanziarie imputabili dei piani della “finanza creativa”, che avevano generato la truffa dei mutui subprime, cui seguì la crisi del 2008 di cui stiamo ancora pagando le conseguenze. Nel 2012 il Governo degli Stati Uniti era giunto persino sporgere formale denuncia contro JP Morgan per le sue pesanti responsabilità in questo disastro, e soprattutto per l’acquisizione della banca d’investimento Bear Sterns (236 milioni di dollari). Ebbene, erano proprio questi signori dell’alta finanza — non certo candidi come gigli — ad incolpare della crisi europea non le proprie spericolate speculazioni, ma «i sistemi politici della periferia meridionale» d’Europa, perché «instaurati in seguito alla caduta di dittature», e perciò «segnati da quell’esperienza».
Proprio per questo — metteva in guardia JP Morgan — l’austerity sarebbe scesa come la notte sull’Europa «per un periodo molto lungo». “Così imparate”, sembravano voler dire con tono quasi ricattatorio, dai propri smisurati grattacieli di Manhattan, questi speculatori. E siccome sono Lorsignori a manovrare i fili delle crisi, non c’era (e non c’è) da dormire sonni tranquilli.
Anche perché JP Morgan Chase & Co. è un colosso tale da poter impensierire qualsiasi governo del pianeta. Nata nel 1871 per opera del mitico uomo d’affari John Pierpont Morgan e del banchiere Anthony Drexel, questa società è cresciuta negli ultimi 140 anni ingoiando una banca dopo l’altra, quasi a voler dimostrare che le teorie liberiste del libero mercato tendono a generare ciò che del libero mercato è l’esatto contrario: l’oligopolio (che tende al monopolio assoluto del più forte e del più spregiudicato).
Nel 1960 il Presidente USA Eisenhower definì l’oligarchia statunitense “complesso militare-industriale”. All’epoca quell’oligarchia era formata dai classici WASP (Whites, Anglo-Saxons, Protestants). Oggi l’oligarchia egemone è ben diversa nella sua composizione: vi s’incontrano industriali, banchieri, personalità della finanza, politicanti, dirigenti della NSA, della CIA e dell’FBI, militari di alto grado, capi delle associazioni e delle chiese di successo, giornalisti, professori universitari, mercanti e pubblicisti di ogni sesso, nazionalità e colore; e — secondo alcuni, la cui opinione non siamo in grado di confermare o negare — persino persone poco raccomandabili (ma d’alto bordo). Questo complesso variegato di oligarchi eterogenei domina il pianeta e le masse subalterne degli stessi Stati Uniti, e pretende di determinare anche le sorti delle democrazie europee, col sostegno delle europee oligarchie egemoni, che con gli oligarchi nordamericani hanno interessi in comune.
Una tecnica antica, quella adottata dai poteri globali yankee: allearsi con le élite dei Paesi subalterni, ricambiandole lautamente per i loro favori, e lucrando, grazie a questa collaborazione, i vantaggi più importanti. Non lo facevano forse anche gli antichi Romani?
Ebbene, nove mesi dopo il dossier targato JP MORGAN, l’oligarchia italica partoriva un nuovo Governo, pieno di idee e di buona volontà: Matteo Renzi diventava Presidente del Consiglio dei Ministri il 22 febbraio 2014. Lo supportavano il Partito “Democratico” (di cui egli era il Segretario dall’8 dicembre 2013) ed un insolito quintetto di partitini: Nuovo Centro Destra (NCD), Scelta Civica (SC), Unione di Centro (UdC), Democrazia Solidale (Demo.S.), Partito Socialista Italiano (PSI).
Appena insediato, il Governo Renzi si distingueva per provvedimenti chiave, finalizzati all’abolizione di ogni traccia di Stato sociale, mentre la propaganda dei media più influenti dipingeva tutto ciò con toni trionfalistici. Il Jobs Act (Legge 10 dicembre 2014, n. 183, più otto decreti successivi) minimizzava le tutele dei lavoratori, cancellando di colpo un sessantennio di conquiste sindacali (tra cui l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che tutelava i salariati dal licenziamento punitivo o ricattatorio).
Sulla Scuola calava la Legge 107/2015 (“Buona Scuola”) che chiudeva il cerchio della sua aziendalizzazione.
È un caso tutto ciò? Davvero non è interesse dei docenti (ma anche degli studenti, dei genitori, del personale ATA, dei dirigenti scolastici, dei cittadini tutti) saperne qualcosa e rifletterci su?
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