L’assenza di un rigoroso linguaggio comune è all’origine sia della crisi della scuola, sia del mancato riconoscimento del lavoro e delle responsabilità dei docenti.
La sollecitazione rivolta ai partecipanti alla consultazione popolare sul documento programmatico “La Buona Scuola” fornisce un eloquente esempio.
Nella stanza “Servizio civile per la buona scuola” si stimola il dibattito proponendo di “Aprire la scuola .. per sostenere la sua missione educativa”.
Logica vorrebbe che l’accezione “educazione” derivasse dalla legge, ma così non è. Il termine/concetto, che costituisce la finalità del sistema scolastico, è utilizzato come si fa in famiglia, ascientificamente: il campo del problema risulta indeterminato, confuso.
Si cade nel mondo dell’assurdo leggendo la proposta in conformità al senso attribuito a “educazione” dal legislatore: il contenuto del termine è “sviluppo di capacità”, da promuovere elaborando “i criteri generali della programmazione educativa” e “curando la programmazione dell’azione educativa”.
L’educazione è l’essenza, il fondamento, l’origine della professionalità dei docenti.
Traslando in campo ospedaliero la proposta “Aprire la scuola .. per sostenere la sua missione educativa” si può constatare la mortificazione inflitta alla professionalità dei docenti: chi proporrebbe di “mobilitare persone e competenze esterne al servizio” per migliorare l’attività della sala operatoria?
Una situazione sconcertante che consegue all’inadeguata concezione del servizio scolastico che traspare dal documento governativo: disarticolato, finalizzato alla trasmissione delle conoscenze delle singole discipline, contrapposta alla visione sistemica veicolata dalla legge.
Una divaricazione che ostacola la valorizzazione dell’attività dei docenti che, operando su campo di lavoro non definito e con un mandato con oggetto imprecisato, vivono nell’indeterminatezza e nell’ansietà.
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