L’articolo del Sole parte dalle parole del sottosegretario Reggi: “Tutte le ricerche internazionali concordano sul fatto che gli insegnanti italiani lavorano meno, guadagnano meno e non fanno carriera. Vogliamo ribaltare le tre conclusioni”.
Focalizzando l’aspetto relativo alla carriera, ciò “significa ricevere uno stipendio più alto rispetto ad altri colleghi, e senza che questo privilegio sia legato necessariamente all’anzianità. Nella scuola ci sono insegnanti bravissimi e insegnanti pessimi, e non si vede perché i primi non dovrebbero guadagnare più dei secondi, anche molto di più”.
Tuttavia ciò che lascia perplessi, sulla base di quanto ha detto Reggi, sono i criteri: “premi stipendiali fino al 30 per cento per i docenti impegnati in ruoli organizzativi (vicepresidi, docenti senior) o attività specializzate (lingue e informatica)”.
Secondo Il Sole invece “gli insegnanti vanno valutati (e premiati) per come insegnano, non per quello che fanno al di fuori dell’insegnamento, “in ruoli organizzativi” o in “attività specializzate”. “Quello che conta, a scuola, è la scuola: cioè quella normale, difficilissima amministrazione che si fa attraverso le lezioni, le interrogazioni, il dialogo con gli studenti”.
Un cattivo professore che si impegnasse in attività organizzative rimane sempre cattivo docente ed è sorprendete, spiega il giornale, che al ministero pensino di dare una medaglia (e dei soldi) non a chi fa bene il suo lavoro ma a chi s’impegna a farne (chissà se bene, chissà se basta segnare il proprio nome su una lista) uno diverso.
Questa idea di una scuola che fa soprattutto cose diverse dalla scuola (la settimana bianca, le lezioni di cucina, il corso di computer, il seminario sull’autostima, l’ora di autocoscienza, il sit-in contro Boko Haram), e premia gli aspiranti burocrati anziché i bravi insegnanti si adegua a principi poco sani, per cui sembra esserci bisogno più di bravi gestori della macchina che di persone che insegnino decentemente Galileo o Kant.
Inoltre, mentre l’impegno in “ruoli organizzativi” e “attività specializzate” è quantificabile, e quindi non “qualificabile”, e dunque premiabile, decidere se un professore è o non è bravo è molto più difficile, ed è ancora più difficile provarlo.
In ogni caso, chiosa Il Sole, chi ha a che fare ogni giorno con gli studenti sa bene quanto sia importante ricevere, negli anni della formazione, delle lezioni ben fatte su Galileo o su Kant, che è in fondo “l’unica cosa che conti veramente” e non già l’insegnante che si è più alacremente impegnato “in ruoli organizzativi” o in “attività specializzate”.
Rimane però centrale il punto: come individuare i docenti migliori? Ecco proprio su questo, su come valutare e premiare gli insegnanti più bravi a insegnare che il ministro dovrebbe concentrarsi. Battere altre strade è più facile, ma non va bene.
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