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Chi ha almeno il diploma vive fino a 7 anni di più di chi si ferma alle medie

Lunga vita a laureati e diplomati, o meglio chi ha investito nello studio sembra destinato a vivere più a lungo di chi non ha avuto voglia o modo di investire nella cultura: il dato emerge da uno studio condotto da Carlo Maccheroni, del Centro di ricerca “Carlo Dondena” sulle dinamiche sociali dell’Università Bocconi di Milano e docente di demografia presso l’Università di Torino, sulla base dei dati forniti dal censimento Istat del 2001. In pratica, chi ha portato a termine la carriera universitaria o ha conseguito almeno il diploma di maturità vive mediamente da 5,5 a 7,6 anni in più rispetto a chi si è fermato alle scuole elementari o alle medie inferiori.
Maccheroni sostiene di avere realizzato “il primo studio quantitativo in grado di dirci quanti anni di vita dovremmo attenderci, in media, a seconda del nostro grado di istruzione”. Inequivocabili i risultati: a 35 anni un uomo poco colto ha davanti a sé in media 41,8 anni pari a 7,6 anni in meno rispetto a un suo coetaneo più istruito. E a 65 anni che tale differenza diventa più significativa, quando “le aspettative di vita risultano rispettivamente di 16,1 e 21,6 anni”. Per le donne, invece, la differenza assoluta scende di poco più di un anno a seconda delle classi di età (da 6,5 a 5,3 anni tra le 35enni e le 65enni), mentre la differenza relativa sale dal -12% al -20,7%.
“Ciò che questa ricerca evidenzia – ha commentato il ricercatore responsabile dello studio – è che per gli strati sociali più bassi aumenta meno che per quelli più alti, un trend che si registra in altri paesi europei e che diventa via via più significativo. Ciò dimostra che le politiche sociali varate dai governi negli ultimi decenni non sono ancora riuscite a incidere positivamente sulla situazione”.
Le differenze si riscontrano anche nel tipo di vita: chi detiene un titolo di studio più alto riesce meglio a gestire conoscenze “che regolano positivamente i propri comportamenti riguardo a uno stile di vita salutare e a un più informato accesso alla medicina”.
Questi dati, sempre secondo l’autore della ricerca, dovrebbero avere il loro peso anche nella formulazione della riforma pensionistica. Ma sinora non è andata così, visto che gli anticipi sono consentiti solo per alcune professioni estremamente logoranti. “Un sistema che basa il calcolo della pensione su dati medi di aspettativa di vita uguali per tutti, come è la riforma Dini, rischia di creare sperequazioni nel trattamento”, conclude Maccheroni. Se invece al Governo decidessero di iniziare a seguire le indicazioni dello studio elaborato dal centro “Dondena” la soglia pensionistica di un operaio sarebbe destinata a diventare ben diversa: verrebbe infatti sensibilmente anticipata (almeno di 3-4 anni) rispetto a quella di un docente o di un funzionario (che potrebbero lasciare il lavoro anche alle soglie dei 70 anni).  
Alessandro Giuliani

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