Si susseguono le notizie di accorpamenti di scuole sotto un unico preside, al quale in genere è assegnata anche la reggenza di un secondo istituto, fino ad un totale – spesso – di 12 o 13 plessi scolastici, anche di ordine e grado diverso.
Lasciamo per ora da parte la problematica della riduzione del personale di segreteria, già all’osso e caricato di nuove e importanti problematiche. Ma non è questa la realtà più pesante: pensiamo alla figura del preside, che è un elemento essenziale dei rapporti fra le varie componenti della scuola, punto di mediazione fra insegnanti, alunni e genitori, tenutario della collaborazione con gli enti locali che gestiscono gli aspetti “materiali“ del funzionamento della scuola, oltre al legame con assistenti sociali, associazioni di volontariato, strutture sanitarie, ecc.
Ed immaginiamo questo preside aver a che fare con 6 o 7 amministratori locali, i presidi delle altre scuole, le Asl, la provincia e così via.
Un tessuto che favorisce sia il funzionamento della scuola, che grazie a questi collegamenti con il sociale coglie le difficoltà dei singoli alunni e ne favorisce la soluzione; questo specialmente laddove le strutture pubbliche prendono in carico le problematiche e si impegnano nell’affrontarle anche al livello familiare.
Certo è difficile fare questo per una presidenza con mille o duemila studenti. Chi ha deciso questi tagli ha in mente una scuola dal facile funzionamento dove si espellono le “mele marce” e tutto diventa più semplice. Un modello che ha portato, a suo tempo, alle troppe bocciature ed all’emarginazione.
Non è l’idea di una scuola facile, non per i ragazzi e nemmeno per presidi, insegnanti e genitori. Anzi è una scuola che impegna e motiva, adatta ad una società progredita, inclusiva e democratica.
Lorenzo Picunio
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