Se la riforma della Buona Scuola viene tacciata di aprire le classi a un’ideologia, c’è anche chi distorce i concetti di genere e semina confusione terminologica
Ma in effetti sarebbero queste “teorie pericolose” o sono ritenute tali da chi vuole pescare nell’ignoranza?
Di fatto, il testo sulla buona scuola prevede che nelle scuole si combattano stereotipi e discriminazioni legati al sesso e al genere. Si punta infatti alla promozione nelle scuole di un’educazione volta alla formazione di una cultura che rispetti la parità tra i sessi e che sia capace di prevenire “la violenza di genere e di tutte le discriminazioni”. E compito della scuola è quello di concorrere alla formazione di nuove generazioni migliori delle precedenti, mettendo l’accento sui grandi temi della contemporaneità e insegnando ai giovani i principi cardine del vivere in una comunità.
Eterogeneità e uguaglianza, e la scuola dovrebbe educare alle differenze e alle uguaglianze come a due facce della stessa medaglia, scrive Linkiesta.it, mentre Giannini ha ribadito che la scuola deve “dare sensibilità ai ragazzi contro ogni forma di discriminazione e sulla parità di genere, che non ha nulla a che fare con la teoria gender, che è una costruzione che appartiene ad altro”.
Tuttavia, precisa Linkiesta, c’è un documento che risale a quindici anni fa e che denunciare l’ideologia gender, in cui si legge: “l’essere uomo o donna non sarebbe determinato fondamentalmente dal sesso, bensì dalla cultura. Tale ideologia [gender] attacca le fondamenta della famiglia e delle relazioni interpersonali”. E ancora: “nella società i generi maschile e femminile sarebbero esclusivamente il prodotto di fattori sociali, senza alcuna relazione con la dimensione sessuale della persona. In questo modo, ogni azione sessuale sarebbe giustificabile, inclusa l’omosessualità, e spetterebbe alla società cambiare per fare posto, oltre a quello maschile e femminile, ad altri generi nella configurazione della vita sociale”.
Il rischio di un approccio di questo tipo è, tra l’altro, di veder confusa l’ideologia gender con gli studi di genere che, a differenza della prima, sono ben più concreti e significativi. Questi ultimi, infatti, sottolinea Linkiesta, si prefiggono attraverso un’analisi culturale interdisciplinare e multiculturale di analizzare e decostruire stereotipi culturali e comportamentali basati sull’appartenenza al mondo maschile e femminile.
Confusione terminologica, strumentalizzazioni e una generosa dose di paura, non favoriscono un sereno dibattito sul tema. Gender significa genere e gli studi di genere non sono identificabili con la teoria gender. Negli anni, lotte, studi e pensatori hanno reso possibile la riflessione sui ruoli di genere, sull’essere uomo o donna nella società e su tutti gli stereotipi prodotti da essa.
Ma la paura è una questione spinosa. Molti hanno paura che i propri figli possano essere traviati. E alla base di questa paura c’è la persistente concezione che l’omosessualità, ad esempio, possa essere qualcosa di indotto – magari proprio nelle scuole – e non di insito, naturale ad un essere umano. Omosessuali si diventa, non lo si è, insomma.
Ma l’osservazione più importante, a nostro avviso è un’altra: i processi culturali di trasformazione che col tempo diventano sempre più improcrastinabili e per questo basti pensare al divorzio o all’aborto. Quante battaglie e quanti scontri negli anni “70 per delle conquiste che oggi più nessuno pensa minimamente di mettere in discussione. Potrà forse passare ancora qualche lustro, ma anche questo risultato di cultura e di civiltà sarà visto come parte integrante della nostro modo di essere cittadini.
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