Ai docenti della scuola secondaria che lavorano nelle carceri, a contatto con i detenuti, dovrebbe essere riconosciuto un ruolo speciale: lo ha detto Elena Centemero, deputata e responsabile scuola e università di Forza Italia, al termine di una visita al carcere di Monza e di un incontro con i docenti che vi lavorano svolti la mattina dell’8 febbraio.
Secondo la forzista, “la pena detentiva dovrebbe sempre prevedere un serio percorso riabilitativo basato anche, e soprattutto, sull’istruzione. Proprio per questo, gli insegnanti che operano in carcere svolgono un lavoro fondamentale che merita un riconoscimento”.
Centemero si dice dispiaciuta del mancato accoglimento della sua proposta in tale direzione: “Durante la legislatura ho proposto di riconoscere un ruolo speciale ai docenti che prestano servizio nelle scuole in carcere nella consapevolezza che l’insegnamento negli istituti penitenziari richiede competenze straordinarie che devono avere un riscontro anche giuridico. Il Pd non ha voluto dar seguito alla mia iniziativa”.
La responsabile Scuola di Forza Italia, infine, si impegna a portare “avanti questo impegno nella prossima legislatura”. Qualora il partito a cui appartiene dovesse andare al Governo, quindi, potremmo risentire parlare dell’iniziativa della Centemero, probabilmente sotto forma di un vero e proprio disegno di legge da sottoporre alle commissioni parlamentari di competenza.
L’idea della deputata di FI, comunque, non è nuova: sino agli anni Ottanta, infatti, i docenti che svolgevano attività di insegnamento in istituti cosiddetti “speciali”, beneficiavano di una sorta di bonus-scivolo pensionistico, molto simile a quello previsto ancora oggi per i lavoratori delle forze armate e per gli agenti di polizia.
In pratica, ogni tre anni di servizio effettuato all’interno di istituti collocati nelle carceri, negli ospedali, oppure scuole per alunni sordi o ciechi, scattava un bonus di maggiorazione di alcuni mesi (in genere quattro o sei): quindi, dopo 30 anni di servizio, il docente si ritrovava con cinque anni in più a livello previdenziale. Un avanzamento che, ai tempi della riforma Monti-Fornero e della pensione di vecchiaia a 67 anno o di anzianità solo con almeno 42-43 anni di contributi, si rivelerebbe assai prezioso.
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