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Chi nasce povero muore povero e la scuola consolida i privilegi

La mobilità sociale di una nazione si misura sulla base del numero di persone che, durante tutto l’arco della loro vita, si spostano sulla scala sociale. Come è immaginabile la dinamica sociale è strettamente connessa alla situazione economica della nazione stessa e che per questo è oggetto di analisi e osservazioni da parte degli studiosi, come il prof Karl Alexander, un sociologo della Johns Hopkins University di Baltimora che ha dedicato 30 anni dei suoi studi a esaminare la vita di ottocento suoi concittadini, dall’età scolare all’ingresso nell’età adulta.

Ebbene questo paziente studioso è arrivato, dopo 30 lunghi anni, dal 1982 ad oggi, a una conclusione che sembra non lasciare scampo: nella Baltimora della crisi economica – e forse non solo lì – chi nasce nelle classi più povere della società difficilmente sarà in grado di fare il “salto di qualità” verso una vita più agiata.
Ebbene, trent’anni più tardi Alexander non ha potuto fare a meno di stabilire che, nella stragrande maggioranza dei casi da lui studiati, la condizione di partenza dettata dallo status sociale della famiglia di origine ha determinato quasi ogni aspetto della vita dei giovani. In altre parole, il destino di un bambino sarebbe sostanzialmente già scritto al momento della sua nascita, sancito dalle condizioni socio-economiche dei genitori.
Una conclusione questa, spiega Gionalettismo da cui prendiamo la notizia, che è in netto contrasto con il cosiddetto “sogno americano” e il mito del “self made man”, ma che si rispecchia nei dati raccolti in tre decenni di vita: gli 800 ragazzini di Alexander, ormai diventati uomini e donne adulti, sono rimasti sostanzialmente al livello dei loro genitori. Soltanto 33 individui, che come tutti gli altri hanno studiato nelle scuole pubbliche, sono riusciti a raggiungere un alto reddito entro i 30 anni di età.
E, cosa ancora più desolante, invece che fornire loro gli strumenti per costruirsi una vita migliore, la scuola non avrebbe fatto altro che consolidare i privilegi acquisiti dalle classi sociali più abbienti. Soltanto nel 4% dei casi i ragazzini provenienti da famiglie a basso reddito sono riusciti ad arrivare alla laurea, contro il 45% dei loro coetanei nati in famiglie più agiate.
La situazione non è differente quando si parla di lavoro: in questo caso, però, l’analisi di Alexander procede tenendo conto dell’alto numero di persone di colore tra i suoi ottocento casi di studio.
Di tutti i soggetti maschi che hanno abbandonato gli studi prima del diploma l’89% dei bianchi aveva comunque trovato un lavoro entro i 22 anni, contro il 40% dei loro coetanei di colore. E questi ultimi sembrerebbero essere anche i più soggetti ad avere guai con la legge: il 49% degli individui di colore provenienti da famiglie a basso reddito ha avuto condanne penali entro i 28 anni di età, contro il 41% dei bianchi e questo dato può essere visto come una diretta conseguenza del maggiore tasso di disoccupazione che grava sulle persone di colore.

Pasquale Almirante

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