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Chi non fa l’ora di religione non ha alternative: va a casa o in altre classi. Ma perché?

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Finito l’anno scolastico, almeno per la maggior parte degli studenti, si tirano le somme per analizzare punti positivi, punti negativi, novità, eccetera eccetera.

Fra le certezze della scuola pubblica, che si è confermata anche quest’anno, sembra essere l’ora alternativa all’insegnamento della religione cattolica, ovvero, nella maggior parte dei casi, la mancanza di alternative: alunni smistati in altre classi, obbligati ad uscire prima o, nei casi più estremi, lasciati nei corridoi, si legge su Il Fatto Quotidiano.

Il risultato è che la materia alternativa spesso non viene offerta discriminando chi non vuole avere un’educazione religiosae chi appartien e ad altre religioni: ancora una minoranza (il 12% del totale secondo dati Cei), che comprende però circa 900mila alunni, tra cui molti stranieri. A supporto della’rgomento, c’è anche una circolare ministeriale del 1986 parlava già di “servizio obbligatorio”.

E se per i cicli d’istruzione dall’infanzia alla medie l’unico problema risiede nel fatto che gli alunni esonerati “non sanno che fare”, alle scuole superiori si aggiunge anche il problema dei crediti scolastici: la frequenza all’IRC incide infatti sul punteggio del credito scolastico, per cui, chi non la segue senza mai aver avuto un’alternativa, viene discriminato, perché non potrà avere lo stesso punteggio dei compagni non esonerati dall’IRC.

Ma appunto, la situazione è comune a tutti i gradi d’istruzione, anche alla materna e primaria: “per chi non fa religione la nostra scuola dell’infanzia non offre attività specifiche, quindi mia figlia si sentiva esclusa”, dice una madre della provincia di Monza e Brianza. “Mi hanno detto – si legge ancora su Il Fatto Quotidiano – che organizzare l’ora alternativa era complicato. In una riunione una maestra ha spronato i genitori dei ragazzi che non frequentano l’ora di religione a cambiare idea bollandoli come egoisti”. Storie simili a Roma, quartiere Africano: “Nostro figlio era l’unico in classe a non fare religione, siamo atei ma le insegnanti hanno fatto pressioni e abbiamo ceduto”.

Negli anni non sono mancati ricorsi, vinti, di genitori che hanno dovuto chiedere aiuto alla Giustizia per vedere riconosciuti i propri diritti e di conseguenza, quelli dei loro figli: “Nel 2010, a Padova, una famiglia – racconta Roberto Grendene dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar) – ha vinto un ricorso dopo che la figlia era stata costretta a seguire l’ora di religione. Si è, infatti, riconosciuta la violazione di due diritti: all’istruzione e alla libertà religiosa”.

La stessa Uaar, che 10 anni fa ha lanciato la campagna “Ora Alternativa”, racconta un’altra testimonianza: “nelle scuole primarie di Palermo ci sono altari, uscite organizzate per le messe e preghiere. Mia figlia è l’unica a non fare religione e la materia alternativa non c’era. Solo dopo la nostra insistenza, è stata trovata un’insegnante e ha iniziato un corso di educazione civica”.

I presidi italiani, chiamati in causa sulla mancanza di ore alternative, rispondono così: “Non abbiamo personale”, “Le richieste sono poche”, “Non ci sono soldi”.

Proprio su quest’ultimo punto, bisogna soffermarsi dato che, in base ad una nota dei ministeri dell’Istruzione e dell’Economia del 2011, nel caso gli insegnanti in servizio (a completamento dell’orario o pagati per ore in più) non sono disponibili, si deve chiamare un supplente.

L’Uaar propone di utilizzare quindi i supplenti e sfruttare al meglio le “attività didattiche e formative”, che però non vengono quasi mai valorizzate, dato che non vanno oltre l’aiuto nei compiti o lingua per gli stranieri.

Per esempio i docenti di potenziamento, introdotti dalla legge 107, potrebbero essere sfruttati in tal senso, creando un’offerta ad hoc per tutti gli studenti esonerati dall’ora di religione.